L’11 agosto 1944 è un giorno di guerra alla confluenza fra i torrenti Leo e Scoltenna, sull’Appennino modenese. Dopo l’attacco alla zona libera di Montefiorino, sferrato alla fine di luglio, le forze armate tedesche minacciano l’intera valle del fiume Panaro, che comincia nei pressi di Rocchetta Sandri, dove si uniscono il Leo e lo Scoltenna.

I partigiani di Castello di Serravalle a Rocchetta Sandri

In quei giorni, il battaglione partigiano di Leandro Palmieri si riorganizza nei rifugi di Rocchetta Sandri. È formato in gran parte da ragazzi di Castello di Serravalle, nati e cresciuti sulle colline bolognesi. Leandro Palmieri li ha portati vicino alla confluenza tra il Leo e lo Scoltenna poiché Mario Ricci “Armando”, il comandante garibaldino che della divisione partigiana, gli ha fatto capire che quella zona sarebbe stata perfetta per ritrovare le forze dopo il ripiegamento da Montefiorino. La solidarietà e l’amicizia dei contadini avrebbero, infatti, protetto la formazione dalle delazioni.

Alla fine della prima decade d’agosto, però, l’avanzata delle truppe tedesche ringalluzzisce i fascisti, che guidano i nazisti fino ai nascondigli dei partigiani e mettono a repentaglio anche l’incolumità dei civili. Quando i contadini vicini alla Resistenza raccontano a Leandro Palmieri che temono i rastrellamenti nazisti, il comandante del battaglione decide di spostarsi.

L’agguato alla confluenza tra Leo e Scoltenna

Nelle prime ore dell’11 agosto 1944 i partigiani scendono a valle per risalire in direzione di Gaiato, ma la confluenza dei torrenti Leo e Scoltenna mostra una portata d’acqua nettamente superiore alla media dei mesi estivi. Molti giovani si fermano per togliersi le scarpe, perché vedono che i primi affrontano le acque con difficoltà.

Mentre il gruppo è intento alla traversata, alcuni soldati tedeschi cominciano a sparare dai nascondigli preparati nelle ore precedenti, quando una spia ha suggerito l’alta probabilità che un gruppo di “ribelli” sarebbe sceso verso la confluenza.

Leandro Palmieri resta coperto e risponde al fuoco, ma Enrico Mazzoni, Ferdinando Predieri, Sissinio Palmieri vengono colpiti e giacciono riversi fra le acque sporche di sangue. Il genovese Mario Daconi, Senesio Cerchiari, Franco Bolelli, Mario Zoboli di Nonantola, Danilo Bettelli di Guiglia, Vittorina Bedonni di Montese, Oliviero Ballanti di Bologna, Dario Baldini di Mezzolara, Riziero Agostini di Forlì e i cugini Osvaldo e Renzo Piccioli – entrambi diciassettenni – di Montombraro di Zocca completano il bilancio di un agguato tragico.

Dopo la rocambolesca salvezza dell’11 agosto 1944, Leandro Palmieri e Loris Degli Esposti dedicano a Sissinio il battaglione che ha resistito all’attacco: il dolore della perdita lacera la coscienza del comandante, ma le necessità della lotta impongono di proseguire le attività per raggiungere l’obiettivo che animava tutto il Corpo Volontari della Libertà, ovvero l’esercito partigiano.

Un funerale partigiano

Nell’inverno fra il 1944 e il 1945 i ragazzi del gruppo castellettese oltrepassano il fronte della Linea Gotica e proseguono la lotta al fianco degli Anglo-americani tenendo vivo il ricordo dei loro compagni.

La memoria della strage di Rocchetta Sandri non si spegne neppure nell’atmosfera festosa della Liberazione. Nella tarda primavera del 1945 Sissinio Palmieri, Ferdinando Predieri ed Enrico Mazzoni vengono riesumati insieme agli altri partigiani morti alla confluenza tra il Leo e lo Scoltenna. Le famiglie riconoscono i giovani grazie ad alcuni segni particolari e alle caratteristiche del vestiario, poiché le salme hanno già raggiunto un avanzato stato di decomposizione.

Quando i resti dei tre castellettesi vengono portati in paese insieme alle spoglie del forlivese Riziero Agostini, la comunità organizza un funerale partigiano: mentre la banda suona gli inni della Lotta di Liberazione, i quattro caduti vengono accompagnati al cimitero da un corteo pieno di bandiere, gonfaloni e gagliardetti legati alla Resistenza. Dal momento che non sono disponibili molti spazi per la costruzione di un famedio, le piccole bare vengono tumulate in un loculo vicino all’ingresso del camposanto, dove rimangono per quasi sessant’anni.

La memoria prosegue

Nel 2005 l’Amministrazione municipale di Castello di Serravalle fa ampliare il cimitero comunale: quando riceve la notizia del progetto, la sezione dell’ANPI propone al sindaco Gaetano Finelli la realizzazione di un famedio dei partigiani, affinché la memoria della Resistenza viva anche nel luogo-simbolo del culto dei defunti. Il primo cittadino accoglie con piacere l’idea dell’associazione e concede uno spazio centrale alla sepoltura dei «caduti nella guerra di Liberazione 1943-1945».

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