Il delitto Matteotti segna una svolta nella storia d’Italia. Il 10 giugno 1924 gli ambienti dello squadrismo fascista portano la violenza nel centro della scena politica. Il rapimento e l’uccisione di uno degli esponenti più in vista dell’opposizione apre un periodo di proteste e incertezze. Perché il regime fascista sopravvive a quella crisi?
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Le elezioni del 1924 e la “legge truffa”
All’inizio del 1924, Benito Mussolini si prepara ad affrontare le elezioni politiche come capo del Governo. Il Partito nazionale fascista ha pochi deputati, ma riesce a ribaltare i rapporti di forza nello schieramento moderato e conservatore. Le camicie nere ottengono così un ruolo dominante all’interno del “listone nazionale”, imponendosi come forza prevalente ai danni dei liberali e dei nazionalisti.
La legge elettorale, firmata da Giacomo Acerbo, consente alla lista più votata a livello nazionale di ottenere i 2/3 dei seggi, a patto che i suoi consensi superino il 25%. I partiti di opposizione capiscono che i fascisti puntano alla maggioranza assoluta per stravolgere l’ordinamento politico. Parlano dunque di “legge truffa” e temono per la tenuta del sistema. Non riescono, tuttavia, a cambiare le cose. Alle elezioni del 6 aprile, le intimidazioni degli squadristi e i brogli garantiscono ai sostenitori di Mussolini un successo netto. Il “listone nazionale” ottiene così la maggioranza assoluta dei seggi.
La denuncia di Giacomo Matteotti
Il 30 maggio il deputato del Polesine Giacomo Matteotti, socialista riformista, denuncia le irregolarità delle elezioni e le violenze dei fascisti in un intervento alla Camera.
Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse.
I fascisti interrompono a più riprese il suo discorso, lasciando intendere di non tollerare alcun tipo di contestazione. Al termine dell’intervento, Matteotti si rivolge ai suoi compagni di partito con parole cariche di orgoglio, ma anche di preoccupazione.
Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me.
Matteotti decide comunque di proseguire il suo impegno politico, rivelandosi determinato a mettere in difficoltà il governo con tutti i mezzi possibili.
Le denunce sul bilancio dello Stato e la questione del petrolio
Il discorso del 30 maggio 1924 non è l’unica occasione in cui Giacomo Matteotti ha denunciato le azioni del governo. L’onorevole originario del Polesine è infatti capace di leggere tra le pieghe dei bilanci pubblici, quindi mette in evidenza i problemi di quello presentato in aula dall’esecutivo. I ministri fascisti hanno presentato un pareggio tra entrate e uscite, ma la ricostruzione di Matteotti mette in evidenza trucchi e omissioni. Emerge dunque che il vero bilancio dello Stato è in perdita. Il governo ha mentito di fronte al Parlamento e anche davanti al re.
Nell’Italia del 1924 gli interventi di Matteotti non riescono tuttavia a incidere sulle dinamiche parlamentari. I suoi discorsi sono lunghi, rigorosi e complessi, quindi piuttosto difficili da seguire. Anche se l’oratore inserisce spesso venature polemiche, capaci di ridestare temporaneamente qualche slancio antifascista, i sostenitori di Mussolini non fanno fatica a mettere tra parentesi questo dissenso. L’opinione pubblica non è peraltro quasi mai raggiunta da queste informazioni, che non trovano certo spazio sulla stampa nazionale, fatta eccezione per le poche testate di opposizione.
All’inizio di giugno, Matteotti riesce però a procurarsi un asso nella manica. Contatti britannici gli rivelano infatti un episodio di corruzione, che potrebbe far crollare il governo e il suo sistema di potere. La compagnia petrolifera statunitense Sinclair ha lavorato per ottenere la concessione di cercare combustibili fossili nella pianura padana e in Sicilia. Per agire in regime di monopolio, l’agenda avrebbe versato tangenti a diversi esponenti fascisti. Questa versione dei fatti trova peraltro conferma in diversi studi storici pubblicati negli ultimi anni.
Il delitto Matteotti
Nel pomeriggio del 10 giugno Matteotti percorre il Lungotevere Arnaldo da Brescia per raggiungere Montecitorio. Si prepara a consultare la biblioteca per costruire un nuovo discorso contro il governo, dopo la denuncia della settimana precedente. Con ogni probabilità, è deciso a puntare i riflettori non solo sulle storture del bilancio, ma anche sulla vicenda Sinclair.
Mentre cammina, due uomini gli piombano addosso e cercano di trascinarlo verso un’auto scura.
Matteotti si dimena e butta a terra uno dei due aggressori, ma arriva un terzo uomo. Il deputato resta tramortito dalle percosse e viene portato a forza all’interno della vettura. Con uno slancio riesce però a buttare fuori dal finestrino il tesserino parlamentare, ben presto raccolto da due persone di passaggio. Matteotti continua a dimenarsi e a urlare, ma il conducente suona il clacson per coprire le sue grida. Nell’abitacolo ci sono Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Amleto Poveromo e Augusto Malacria, arditi e squadristi, uomini noti a Mussolini.
Durante il viaggio, uno di loro pugnala al torace Matteotti, uccidendolo. Al tramonto i sicari abbandonano il cadavere nel bosco della Quartarella, a circa 23 chilometri da Roma.
Il ritrovamento del corpo e le conseguenze del delitto Matteotti
La scomparsa di Matteotti crea un notevole sconcerto. Per settimane non si hanno notizie, ma il 12 agosto la giacca strappata dell’onorevole compare lungo la via Flaminia. Il corpo senza vita viene ritrovato il 16 agosto. La brutalità di quell’omicidio politico ridesta per qualche mese lo sdegno nei confronti dei picchiatori e della mentalità squadristica.
Le opposizioni socialiste, liberali e cattoliche decidono per protesta di non partecipare più ai lavori del Parlamento, avviando la “secessione dell’Aventino”. Non riescono tuttavia a elaborare un’efficace strategia di azione e propaganda tra le masse. Il Partito comunista d’Italia sceglie invece di restare in aula, opponendosi apertamente al governo, ma non ha la forza necessaria a generare un cambiamento radicale nell’opinione pubblica.
3 gennaio 1925: un giorno di svolta
Il 3 gennaio 1925 diversi oppositori politici del fascismo attendono la riunione della Camera, fissata per le 15. Il governo di Benito Mussolini sembra prossimo alla fine, perché il memoriale del gerarca Cesare Rossi accusa il duce di essere correo in atti di aggressione e di omicidio politico.
I pensieri di tutti corrono al delitto Matteotti, avvenuto il 10 giugno 1924. Da quel giorno il fascismo è lacerato dalle tensioni fra gli squadristi “rivoluzionari” e i conservatori “moderati”. Mussolini rischia di perdere il controllo della situazione: capisce che deve mantenere l’appoggio dei “poteri forti”, quindi esaudisce le richieste di ordine dei moderati, ma lascia sempre aperta la possibilità della “rivoluzione fascista”. Parlando alla Camera, si assume la “responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto”. Aggiunge che “se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di quest’associazione a delinquere”.
Nessun deputato invoca l’applicazione dell’Articolo 47 dello Statuto Albertino, la costituzione di allora, che metterebbe in stato d’accusa i ministri dinanzi all’Alta Corte di Giustizia. Così, Mussolini può servirsi della forza per garantire “pace e tranquillità” alla classe dirigente italiana.
La svolta totalitaria del regime fascista
Dopo la crisi successiva al delitto Matteotti, la riscossa del regime fascista sopisce ogni speranza di riscossa rivoluzionaria o riformistica. Fra il 1925 e il 1926 la dittatura si rafforza: le «leggi fascistissime» manifestano le ambizioni totalitarie del regime. Il presidente del consiglio diventa responsabile soltanto davanti al re e non più di fronte al Parlamento, che è chiamato a discutere soltanto le leggi proposte dal governo.
La maggioranza fascista mette inoltre fuori legge i partiti di opposizione, dichiara decaduti i deputati dell’Aventino e fa chiudere i giornali antifascisti, sottoponendo la stampa indipendente al controllo della censura. Mussolini istituisce il Tribunale speciale per la difesa dello Stato per giudicare gli oppositori politici, ripristinando la pena di morte per gli attacchi ai membri della famiglia reale o al presidente del consiglio.
Il 1926 è un anno chiave anche per la politica municipale del fascismo. Nella costruzione dello Stato totalitario non c’è infatti spazio per le autonomie locali. Le amministrazioni provinciali e comunali perdono la natura elettiva e vengono affidate rispettivamente ai prefetti e ai podestà. I primi incarnano l’autorità statale, assumono il pieno controllo delle province e nominano i secondi, incaricati di assumere contemporaneamente le funzioni dei sindaci, delle giunte e dei consigli comunali.
Scompaiono così anche gli ultimi brandelli del sistema democratico, definitivamente rimpiazzato da una dittatura che cercherà di costruire la “nazione guerriera”. Comincia l’epoca dello Stato totalitario, che si concluderà soltanto dopo lunghi anni di difficoltà economiche e di guerre imperialistiche. Il regime fascista si protrarrà infatti fino al crollo del 25 luglio 1943.
Per saperne di più
Per approfondire la storia del delitto Matteotti e la svolta totalitaria del regime fascista, consiglio la lettura di alcuni libri, disponibili per l’acquisto online:
- Il delitto Matteotti, di Mauro Canali;
- Come nasce una dittatura. L’Italia del delitto Matteotti, di Giovanni Borgognone;
- Il fascismo dalle mani sporche. Dittatura, corruzione, affarismo, a cura di Paolo Giovannini e Marco Palla;
- E fu subito regime. Il fascismo e la marcia su Roma, di Emilio Gentile;
- Una dittatura moderna. Il fascismo come problema storico, di Alberto De Bernardi;
- Storia d’Italia dal 1861 al 1997, di Denis Mack Smith.
Consiglio anche la graphic novel Il delitto Matteotti, di Francesco Barilli e Manuel de Carli, pubblicata dalla casa editrice Becco Giallo, e il romanzo documentario M. Il figlio del secolo, di Antonio Scurati.
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