L’attentato a Togliatti è un momento cruciale del secondo dopoguerra italiano. In quale scenario si consuma? Quali sono le sue conseguenze?
L’attentato a Togliatti: un nuovo atto della violenza politica
Il 14 luglio 1948 lo studente di giurisprudenza Antonio Pallante spara a Palmiro Togliatti all’uscita da Montecitorio. L’attentatore è un nazionalista radicale con simpatie per l’ideologia nazista. Il suo gesto si inserisce in un momento storico molto delicato. Dopo la vittoria della DC alle elezioni del 1948, i moderati sentono il vento in poppa e stabiliscono nuovi rapporti di forza nel Paese.
Le tensioni sono forti e rischiano di divampare dopo l’attentato, che fa scattare i settori più rivoluzionari del Partito comunista italiano. In vari luoghi d’Italia i partigiani e i militanti si preparano all’insurrezione, ma il segretario si salva e chiede a tutti di mantenere la calma. Il giorno successivo l’impresa di Gino Bartali al Tour de France contribuisce a “distrarre” l’opinione pubblica, allentando ulteriormente la tensione.
Si rompe tuttavia l’unità sindacale. I cattolici non condividono lo sciopero generale indetto dalla CGIL unitaria. Dopo un lungo periodo di dissensi e contrasti, decidono così di uscire dall’organizzazione, creando le proprie strutture “libere”.
Verso gli anni del “centrismo”
Nel frattempo il ministro dell’Interno Mario Scelba sostiene l’avvio di un “processo alla Resistenza” e attacca le organizzazioni dei lavoratori. Diversi partigiani vengono arrestati con l’accusa di aver commesso vari tipi di crimini. Molti di loro non sono colpevoli, ma subiscono periodi di detenzione e vengono squalificati dal punto di vista morale. Diversi combattenti dei GAP e delle Brigate Garibaldi decidono di trasferirsi in Cecoslovacchia o nell’URSS per sfuggire alle misure repressive della giustizia italiana.
Anche le lotte per i diritti s’inaspriscono ulteriormente, poiché gli imprenditori sentono il favore del Governo e avviano un “ritorno all’ordine”. I militanti sindacali vengono penalizzati e molti contratti ridiscussi in senso sfavorevole ai dipendenti. Gli industriali e i proprietari terrieri sfruttano le difficoltà dei disoccupati per “giocare al ribasso” sui salari, costringendo i lavoratori ad aumentare la produttività. Il sistema di fabbrica non consente tuttavia una vera espansione, poiché continua a conformarsi alle logiche autarchiche del regime fascista.
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