La strage di Marzabotto è il peggior massacro di civili nella storia contemporanea dell’Europa occidentale. Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 diversi reparti della XVI divisione corazzata granatieri SS eseguono un’operazione di “terra bruciata” sull’Appennino bolognese.

I militi nazisti e le SS italiane devastano oltre 100 luoghi, compresi nei territori comunali di Marzabotto, Grizzana e Monzuno. Anche le istituzioni e i corpi armati della Repubblica sociale italiana partecipano al massacro come collaborazionisti.

Al termine delle operazioni restano uccise 771 persone. Tuttavia la stampa fascista contribuisce a dipingere l’operazione come l’attacco decisivo contro la brigata partigiana “Stella Rossa”, nascondendo completamente la strage dei civili.

Le forze armate naziste e fasciste compiono il massacro con l’obiettivo di sgomberare da ogni pericolo il percorso dal crinale appenninico alle porte di Bologna. Non vogliono soltanto colpire i partigiani della brigata “Stella Rossa”, ma si propongono di impedire ogni forma di lotta lungo quella direttrice di marcia.

La strategia della “terra bruciata” prevede l’attacco ai civili, considerati sostenitori della Resistenza e quindi traditori. Le operazioni militari hanno pertanto l’obiettivo esplicito di uccidere donne, bambini e vecchi per fare “terra bruciata” intorno ai partigiani.

I nazisti cercano di evitare a ogni costo gli scontri armati per correre meno rischi possibile. Il 5 ottobre il bilancio ufficiale delle perdite tedesche ammonta a soli 7 morti e 29 feriti, di cui 8 gravi.

“Strage di Marzabotto” o “massacro di Monte Sole”?

Per parlare di questa tragedia, la memoria pubblica nazionale utilizza spesso l’espressione “strage di Marzabotto”. Non è tuttavia un’opzione corretta, poiché limita e distorce la portata dei fatti. Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 il capoluogo del Comune di Marzabotto non viene infatti investito dalle violenze. Il perimetro della “terra bruciata” si estende invece in territori ancora più periferici, appartenenti anche ai municipi di Grizzana e Monzuno. È dunque opportuno utilizzare l’espressione “massacro di Monte Sole”, poiché le violenze si concentrano soprattutto nei borghi rurali intorno all’omonima altura.

Il sacrario di Marzabotto - Foto di Paola Gemelli - strage di Marzabotto

Il sacrario di Marzabotto. Foto di Paola Gemelli

Ogni anno, nella prima domenica di ottobre, le istituzioni, le associazioni e i cittadini si ritrovano a Marzabotto per ricordare la tragedia. Per onorare il settantacinquesimo anniversario del massacro di Monte Sole, nel 2019 il Comune di Marano sul Panaro, insieme alle locali sezioni dell’ANPI e della Tavola della Pace, ha organizzato un viaggio di memoria per il Consiglio comunale dei ragazzi. L’invito è stato poi esteso a tutti i cittadini per avvicinare la comunità a una vicenda tanto vicina nello spazio e nel tempo quanto lontana dalle esperienze della quotidianità.

Il CCR di Marano sul Panaro nel sacrario di Marzabotto - strage di Marzabotto

Il CCR di Marano sul Panaro nel sacrario di Marzabotto – strage di Marzabotto

A me è toccato un compito difficile, ma molto stimolante. Gli organizzatori mi hanno chiesto di ricostruire la storia dei giorni che hanno portato alla strage di Marzabotto. Per cercare di comprendere quei fatti, ho deciso di organizzare un trekking nel Parco storico di Monte Sole. Abbiamo percorso le strade e i sentieri che tuttora collegano i luoghi della strage. Abbiamo visto macerie e lapidi, ma anche boschi e valli. Ci siamo immersi in un angolo d’Appennino talmente bello da non poter sembrare uno spazio di morte. Eppure proprio lì, appena 75 anni prima, il nazismo e il fascismo hanno mostrato fino in fondo il loro volto.

Riassumere le emozioni della giornata in un post è davvero difficile. Mi aiutano, però, le foto di Paola Gemelli e i tanti appunti presi per ricostruire una vicenda storica molto complessa. Il racconto seguente è un piccolo viaggio tra alcune delle vicende più significative, accadute nei pressi del Monte Sole tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944.

Non riassumerò dunque tutti gli episodi legati alla memoria della “strage di Marzabotto”. Se ti interessa un livello superiore di approfondimento, puoi procurarti il saggio di Luca Baldissara e Paolo Pezzino Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole, edito a Bologna dal Mulino nel 2009.

In cammino sui luoghi del massacro di Monte Sole

Alla fine dell’estate 1944 il fronte italiano della Seconda guerra mondiale raggiunge l’Appennino tosco-emiliano. I nazisti realizzano le fortificazioni della “Linea verde”, che i partigiani chiamano “Linea gotica”. Intanto il Comando unico militare dell’Emilia-Romagna (CUMER) sollecita le formazioni della Resistenza a pianificare l’insurrezione generale. Gli organizzatori della lotta armata sono convinti che i britannici, gli statunitensi e i loro alleati sfonderanno le difese tedesche prima dell’inverno.

Soldato statunitense dopo lo sfondamento della Linea Gotica sull'Appennino tosco-emiliano nel 1945 - Museo dei Monti della Riva

Soldato statunitense dopo lo sfondamento della Linea Gotica sull’Appennino tosco-emiliano. Contrariamente alle speranze e alle previsioni della Resistenza, l’avanzata alleata si arresta nell’autunno 1944 e riprende soltanto alla fine dell’inverno successivo. Le fortificazioni naziste saltano all’inizio della primavera 1945

Sull’Appennino reggiano, modenese e bolognese le brigate partigiane si preparano per il massimo sforzo. Molti giovani raggiungono i combattenti più esperti per affrontare le ultime battaglie prima della Liberazione. Gli organici delle formazioni si allargano e i comandi devono affrontare nuove sfide: come armare, addestrare e nutrire così tanti volontari? Come gestire i trasferimenti verso le città? Intanto arrivano le piogge, le notti diventano sempre più fredde e la popolazione della montagna non riesce più a sostenere materialmente tanti uomini in clandestinità.

Nella seconda metà di settembre la tensione raggiunge livelli insostenibili. Mentre gli Alleati fanno i conti con le difficoltà militari dell’attacco alla Linea gotica, i partigiani devono sopravvivere in condizioni sempre più difficili. Sui crinali dell’Emilia le voci della ritirata tedesca si alternano ai sospetti di nuovi rastrellamenti contro i civili. Si vive alla giornata, nell’attesa che qualcuno annunci l’arrivo dell’ora decisiva.

La brigata “Stella Rossa” a Monte Sole

Il Monte Sole si trova tra le valli del Reno e del Setta. Svetta su una zona strategica per i collegamenti tra il crinale e l’area urbana di Bologna. È una terra di lavoro e di sussistenza, nella quale le famiglie sono abituate a fare i conti con la miseria.

Tappa narrativa sul crinale tra San Martino e Caprara: di fronte al gruppo la valle del Reno - trekking sulla strage di Marzabotto

Tappa narrativa sul crinale tra San Martino e Caprara: di fronte al gruppo la valle del Reno

In quella zona, da mesi, i civili convivono con i partigiani della brigata “Stella Rossa”, comandata da Mario Musolesi “Lupo”. Non è il solito comandante della Resistenza: ha una formazione militare, non sopporta la politica e si impone in modo molto autoritario. Conosce il Monte Sole e i suoi dintorni meglio di chiunque altro, poiché è nato e cresciuto sotto quei cieli. Proprio per questo non è disposto ad abbandonarli per nessun motivo, neppure sotto attacco.

Tra la primavera e l’estate diversi partigiani hanno lasciato la formazione per seguire il vice-comandante Sugano Melchiorri a Montefiorino. Non è semplice convivere con “Lupo”, ma chi resta insieme a lui continua a portare avanti una lotta strettamente legata al territorio e alle sue comunità. La “Stella Rossa” trova appoggi presso diverse famiglie e cerca di colpire chi si oppone alla Resistenza. Tuttavia aiutare e ospitare i partigiani è pericoloso, soprattutto quando la zona in questione diventa retrovia del fronte.

Lorenzo Simonini, collaboratore della Resistenza modenese e rastrellato dai nazisti, racconta la sua esperienza ai ragazzi del CCR

Lorenzo Simonini, collaboratore della Resistenza modenese e rastrellato dai nazisti, racconta la sua esperienza ai ragazzi del CCR

Nella seconda metà di settembre la brigata “Stella Rossa” rimane alle pendici del Monte Sole. Anche se nei giorni precedenti sono circolate voci di attacchi nazisti, i partigiani non sospettano l’incombere di un rastrellamento, poiché ritengono imminente lo sfondamento della Linea gotica. I battaglioni più numerosi sono insediati tra i borghi di Caprara, Poggio, Casaglia, Ca’ Dizzola, Cerpiano e Le Scope.

L’attacco nazista

Nel settembre 1944 la XVI divisione corazzata granatieri SS, comandata dal generale Max Simon, è impegnata sul principale fronte della Linea gotica bolognese. È subordinata al I Corpo paracadutisti del generale Schlemm. Il battaglione esplorante, comandato dal maggiore Walter Reder, si trova in linea nella zona di Vergato. Tra il 26 e il 27 settembre è collocato a riposo, come riserva divisionale, nella valle del Setta a sud di Vado, tra Rioveggio e Montorio. Proprio in quei giorni riceve l’incarico di compiere un’operazione di terra bruciata nella zona del Monte Sole.

Walter Reder non è l’unico responsabile delle operazioni. Oltre a rendere conto al generale Simon, il maggiore è coadiuvato dal colonnello Ekkehard Albert, che pianifica la lotta contro le bande partigiane. Nelle operazioni del Monte Sole è coinvolto anche il maggiore Helmut Loos, che gestisce il servizio informazioni e controspionaggio ed è responsabile per la sicurezza delle retrovie.

I nazisti immaginano che il comando della brigata “Stella Rossa” si trovi nella zona di San Martino. La prima compagnia del battaglione esplorante ha il compito di attaccare quell’area. A quel reparto, comandato dal tenente Segebrecht, viene affiancato un plotone di mitraglieri della quinta compagnia, in azione di fanteria. Partecipa alla missione anche il tenente Vysek, ufficiale di osservazione di artiglieria con comando radio. La seconda compagnia, agli ordini del tenente Szillat, deve raggiungere il Monte Sole. Condivide l’obiettivo con la terza compagnia, comandata dal capitano Schmidtkunz. Gli elementi della quinta compagnia non coinvolti nel sostegno alla prima puntano invece su Caprara.

Al massacro di Monte Sole partecipano anche il IV battaglione del 1059° reggimento granatieri dell’Est, formato da volontari russi, e reparti del 105° reggimento della contraerea (FlaK). In caso di necessità l’ausilio dell’artiglieria è garantito da una batteria del 16° reggimento di artiglieria SS della contraerea e della batteria del 16° reggimento di artiglieria SS collocata al fronte.

I monti del massacro oggi sono un luogo di pace, perfetto per passare un po’ di tempo insieme. Ecco Lorenzo Simonini in posa con le ragazze e i ragazzi del CCR

Cadotto

Il comandante Mario Musolesi “Lupo”, il vicecomandante Giovanni Rossi “Gianni”, il comandante della terza compagnia Gino Gamberini “Leone” e alcuni partigiani della brigata “Stella Rossa” passano la notte fra il 28 e il 29 settembre a Cadotto. Dormono insieme alle rispettive compagne, dopo aver partecipato a una piccola festa danzante.

Il mattino successivo “Lupo” e i suoi compagni si fanno sorprendere dall’arrivo dei nazisti. Tuttavia neppure le SS si aspettano di trovarsi subito di fronte al comando della formazione. Piove a dirotto e i militi sono convinti di non trovare particolari resistenze fino a San Martino.

Al sopraggiungere delle SS, alcuni partigiani si sbandano e cercano di mettersi in salvo. Gli uomini della Resistenza non possono reggere uno scontro prolungato contro le forze naziste. Non essendo armati ed equipaggiati allo stesso modo, devono adottare tattiche di guerriglia: prima colpire e poi scomparire.

Julien Legoll, un mitragliere della quinta compagnia, racconta che i nazisti occupano due case coloniche. Dalla cantina di una terza abitazione partono però diversi colpi di arma da fuoco. I tedeschi subiscono dunque alcune perdite non pianificate, le più consistenti dell’intera operazione.

A quel punto le SS si dividono i compiti: mentre alcuni assediano la casa, altri allineano contro un muro una trentina di persone tra donne, bambini e anziani. A quel punto aprono il fuoco con la mitragliatrice.

Gli scontri proseguono ancora per un po’. Nel corso della mattinata anche Mario Musolesi “Lupo” rimane ucciso in un combattimento contro un milite della prima compagnia, mentre cerca di sganciarsi per chiedere aiuto.

Caprara di Sopra

La tappa narrativa a Caprara di Sopra, accanto alle rovine dell'edificio che fino agli anni Ottanta dell'Ottocento ospitava la sede del Comune di Marzabotto

La tappa narrativa a Caprara di Sopra, accanto alle rovine dell’edificio che fino agli anni Ottanta dell’Ottocento ospitava la sede del Comune di Marzabotto

La mattina del 29 settembre a Caprara di Sopra gli abitanti sentono colpi di cannone e di mitraglia. Allora si spaventano e corrono verso un rifugio. Intanto i partigiani della “Stella Rossa” si spostano tra il Monte Caprara e il Monte Sole per difendersi meglio in caso di rastrellamento.

Sotto la forte pioggia del mattino arrivano 7-8 soldati tedeschi, che trovano il nascondiglio protetto e rastrellano le 70 persone presenti. A parte tre vecchi, ci sono solo donne e bambini. Tra di loro c’è Maria Collina, residente a Villa d’Ignano, ma fuggita a Caprara per paura degli scontri.

Dopo avere messo tutti gli ostaggi in fila, i nazisti li portano in una delle case di Caprara. Li chiudono dentro, poi gettano bombe da una finestra e dalla porta. I militi sparano alle persone che cercano di salvarsi fuggendo via. Lucia Lanzarini, di 9 mesi, viene trovata morta fuori dalla casa, probabilmente per inedia.

Sopravvivono solo in 8: i nomi noti sono Maria Collina, ferita alla gamba sinistra e madre di quattro bambini rimasti uccisi; Gilberto Fabbri, ferito alle gambe; Nerina Moschetti, di 9 anni, capace di saltare fuori da una finestra e di nascondersi in un tombino; le sorelle Maria e Paola Astrali, protette dai corpi dei morti.

I responsabili della strage non sono i soldati del 105° reggimento FlaK, ma con ogni probabilità alcuni militi di una pattuglia appartenente alla quinta compagnia del battaglione esplorante. Il comandante Saalfrank afferma infatti di aver trovato “il quartier generale della Stella Rossa” in una postazione fortificata. Si tratta di 4 case con le cantine rafforzate e tutt’intorno un sistema di trincee. In realtà è soltanto un rifugio, nel quale sono nascosti 70 civili. Le case descritte dal militare nazista non sono fortificate, ma semplici abitazioni di civili, distrutte dai militi durante le operazioni di “terra bruciata”.

Casaglia

Il quarto battaglione della brigata Stella Rossa si trova fra Ca’ Dizzola, Cerpiano e Le Scope, a sud-est del Monte Sole, e in parte anche più a nord, fra Cà Tura e Ignano, alle pendici del Monte Santa Barbara. Occupa dunque un’area molto estesa e difficile da difendere.

Nel mattino del 29 settembre 1944 Casaglia è l’obiettivo della terza compagnia del battaglione esplorante, che risale probabilmente da Casoncello. I partigiani ripiegano sul Monte Sole, mentre gli uomini validi cercano di nascondersi. Le donne, i bambini e i vecchi si radunano invece in chiesa, convinti di non essere gli obiettivi delle operazioni militari. Li assiste il giovane parroco di San Martino, don Ubaldo Marchioni. Il curato sta andando all’oratorio dell’Angelo Custode di Cerpiano per celebrare la messa, ma trova la chiesa piena e si ferma per recitare un rosario insieme ai fedeli.

strage di Marzabotto - Le rovine della chiesa di Casaglia

Le rovine della chiesa di Santa Maria Assunta a Casaglia

All’arrivo dei nazisti non si verificano scontri a fuoco o episodi di resistenza. Un piccolo gruppo di militi fa irruzione in chiesa e ordina a tutti i fedeli di uscire. I tedeschi accusano donne, bambini e vecchi di essere partigiani, poi li mettono in fila lungo la strada per Dizzola. Intanto, proprio all’interno della chiesa, uccidono don Marchioni e Vittoria Nanni, una ventottenne paralitica. Enrica Ansaloni e Giovanni Betti di Gardelletta cercano invece di nascondersi nel campanile e restano uccisi lì. Elena Ruggeri si salva insieme a una zia e al cugino Giorgio Munarini, nascondendosi in sagrestia.

All’altezza del cimitero di Casaglia una piccola pattuglia di nazisti ferma il gruppo. Il comandante ordina di forzare il cancello e fa entrare tutti gli ostaggi nel camposanto, allineandoli contro il muro interno e aprendo il fuoco di una mitragliatrice. Le vittime della strage sono in tutto 93. Nella notte del 2 ottobre viene scavata una fossa comune all’interno del cimitero, dove sono sepolti 69 cadaveri, compreso quello di un 26enne ucciso in località Poggio.

Il cimitero di Casaglia oggi - strage di Marzabotto

Il cimitero di Casaglia oggi

Al termine della fucilazione un bambino di otto anni, Vittorio Tonelli, entra nel camposanto e dice agli eventuali sopravvissuti che non ci sono più i tedeschi. Il piccolo vede tra le vittime la madre, cinque fratelli e le sorelle. Anche lui rimane ucciso poco dopo, lungo la strada per Vado, colpito da una granata.

I superstiti

Tra gli ostaggi fucilati al cimitero si salvano le sorelle Cornelia e Giuseppina Paselli, che restano vive sotto i corpi dei morti; piangono però l’uccisione dei fratellini gemelli Luigi e Maria, oltre a quella della madre Angiolina Mazzanti.

Lidia Pirini rimane invalida alla gamba destra per le ferite riportate. Il 30 settembre trova il coraggio e la forza di uscire dal cimitero solo poco prima del tramonto. In quello stesso giorno sua madre e sua sorella vengono uccise nell’oratorio di Cerpiano.

Anche Lucia Sabbioni si salva, ma perde la madre, 4 sorelle, un fratello e il nonno. Elide Ruggeri rimane ferita al fianco destro ed elabora il ricordo di essere stata aiutata da un nazista per contrastare il sentimento di essere stata abbandonata; nella strage perde la madre, un fratello e una sorella.

L’orefice Gino Chirici, sfollato da Bologna, si nasconde nel bosco. Sua moglie viene uccisa nel cimitero di Casaglia. La figlia, una studentessa ventenne, viene ritrovata dai nazisti mentre è riversa in un fosso con una ferita a un gomito; i militi la portano alla Gardelletta e la curano. Al cimitero di Casaglia, Chirici salva una bambina di 6 anni, rimasta ferita, e la porta al rifugio Beguzzi, dove trova anche la figlia ventenne.

Il 5 ottobre due soldati lo prelevano insieme ad altri per ripulire Ca’ Belvedere e lui raccomanda a un ufficiale la figlia. Alla fine del lavoro, gli uomini vengono condotti sul ciglio di una scarpata e fucilati. Chirici però sopravvive, poiché si butta prima di ricevere il colpo. Quando torna al rifugio, trova la figlia e la bambina di 6 anni morte nei loro letti: i nazisti hanno infatti ucciso tutte e 11 le persone rimaste all’interno.

Cerpiano

La mattina del 29 settembre la seconda compagnia del battaglione esplorante risale dalla Quercia e dalla Gardelletta verso Cerpiano. I militi non trovano particolari resistenze. Il diciassettenne Francesco Pirini, sfollato a Cerpiano, vede alcune case bruciare verso il Setta e avvisa i partigiani, poi si dirige con loro verso il Monte Sole. Un altro gruppo di resistenti, provenienti da Le Scope, si ritrova davanti all’oratorio per andare a Dizzola. Quei giovani decidono poi di rifugiarsi in un bosco per non imbattersi nel fuoco tedesco.

Mentre risalgono verso il Monte Sole, le SS incontrano 2 donne e 8 bambini subito dopo Ca’ di Zermino. Li uccidono tutti, incendiando anche l’abitazione. I militi arrivano a Cerpiano tra le 8:30 e le 9. Sentendoli arrivare, diverse persone corrono nel rifugio antiaereo, realizzato nel vicino bosco: i nazisti non trovano la struttura e quei civili si salvano.

Nella cantina del “Palazzo”, l’edificio più importante di Cerpiano, si nascondono invece 27 donne, 20 bambini e 2 uomini, uno dei quali paralitico e l’altro ultrasettantenne. I nazisti fanno irruzione nel locale e costringono tutte le persone a uscire, conducendole nell’oratorio dell’Angelo Custode. Poi chiudono dentro gli ostaggi e lanciano una granata dall’esterno, rompendo una vetrata. Dopo l’esplosione sopravvivono circa 20 persone. Due vengono uccise con armi da fuoco mentre cercano di uscire, una dalla porta principale, la bidella Amelia Tossani da quella laterale.

I nazisti non se ne vanno. I militi mangiano e bevono, mentre qualcuno suona l’armonium all’interno del Palazzo. Il caporale Mayer, comandante della seconda compagnia, non pensa di eliminare esseri umani, ma soltanto “loschi bacilli”. Con ogni probabilità i nazisti rientrano alla base prima della notte e fanno ritorno a Cerpiano soltanto l’indomani mattina. Nessuno tuttavia si muove dall’interno dell’oratorio. Solo nel pomeriggio di sabato 30 settembre le SS uccidono gli ostaggi con armi da fuoco e li depredano degli oggetti di valore.

Nell’oratorio di Cerpiano muoiono in tutto 46 persone, tra le quali le maestre Teresina Bortolucci e Anita Serra.
Si salva invece Antonietta Benni, la maestra orsolina dell’asilo di Gardelletta. Sopravvivono anche Fernando Piretti, di 8 anni, e Paola Rossi, di 6 anni, portati poi in salvo da Francesco Lamberti.

San Martino

Max Simon sostiene che il comando della brigata Stella Rossa si trovi a San Martino. I nazisti si aspettano dunque di trovare ingenti fortificazioni e pensano di ricorrere massicciamente all’artiglieria. Probabilmente alcune pattuglie di SS arrivano già il 29 settembre, ma non commettono eccidi.

Il giorno successivo, intorno alle 15:30, un gruppo di militi, appartenente alla quinta compagnia del battaglione esplorante, sale dalla località Quercia e prosegue per San Martino. Le SS fanno uscire le persone rifugiatesi in chiesa, radunano in un cortile tutte quelle che cercano di fuggire dalle case vicine e le uccidono con la mitragliatrice. Poi accatastano delle fascine e cominciano a bruciare i cadaveri. In seguito viene scavata una fossa comune, in cui sono collocati 37 cadaveri.

Il massacro di Monte Sole si conclude il 5 ottobre. Nei 25 giorni successivi l’area viene investita dalle violenze dei combattimenti. I nazisti non smettono di fare blitz e incursioni nei borghi tra il Reno e il Setta. A farne le spese sono coloro che si sono prodigati per assistere la popolazione civile, sperando in un futuro di pace. Tra di loro spicca don Giovanni Fornasini, parroco di Sperticano, che nei giorni del massacro viene arrestato e condotto a Salvaro. Trova scampo, ma non smette di impegnarsi per le comunità che hanno perso i loro sacerdoti. I nazisti vedono nel suo lavoro per la pace e nelle richieste di porre fine alle violenze due atti di sfida. Forse per questo don Fornasini viene ucciso e il 13 ottobre il suo corpo, decapitato, viene abbandonato dietro al cimitero di San Martino.

La tappa narrativa sul retro del cimitero di San Martino, nei pressi del monumento a don Giovanni Fornasini - strage di Marzabotto

La tappa narrativa sul retro del cimitero di San Martino, nei pressi del monumento a don Giovanni Fornasini

Il senso di una giornata tra storia e memoria

Quando cammini lungo i sentieri del Monte Sole, capisci che le parole e la ragione non riescono a spiegare pienamente il massacro che segnò l’inizio dell’autunno 1944. Eppure oggi non possiamo più fare finta di niente, né accontentarci di celebrare i riti della memoria. Oggi è tempo di allacciarsi le scarpe, camminare insieme e cercare di capire anche quello che sembra incomprensibile.

Dobbiamo accettare questa sfida, perché quella strage non è il frutto di un male perverso e irripetibile. È una pagina della storia umana, così come sono umane nel senso più pieno le azioni di chi si è battuto per la pace e la giustizia. Per essere donne e uomini liberi, dobbiamo scegliere il nostro percorso nella vita di ogni giorno.

Per fare questo, la storia è un’ottima compagna di viaggio. Grazie allo splendido Consiglio comunale dei ragazzi, al Comune di Marano sul Panaro, all’ANPI, alla Tavola della Pace e a tutt* coloro che ci hanno accompagnato in una giornata indimenticabile.

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