Proseguono gli appuntamenti di Public History a Pavullo nel Frignano. Il progetto Con Armando nel cuore ci porta a scoprire la seconda fase della lotta di liberazione. È tempo di partire per la camminata storico-narrativa Resistere. Dalla battaglia di Benedello alla festa d’aprile: l’appuntamento è fissato per domenica 9 giugno 2019.
Sarà un’occasione per esplorare altri angoli di Pavullo nel Frignano, conoscendo i legami tra la storia della Resistenza e la vita quotidiana delle famiglie contadine. La battaglia di Benedello offre infatti l’opportunità di raccontare la complessità della guerra totale. Tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1945 i combattenti e i civili sono chiamati a rinnovare continuamente le proprie scelte. Da che parte stare? Chi sostenere? Quali rischi correre? Comprendere la precarietà (e la radicalità) di quelle decisioni, prese in un contesto di guerra, è molto importante per capire il valore e l’importanza della pace.
Informazioni sulla camminata storico-narrativa
Il ritrovo della camminata storico-narrativa Resistere. Dalla battaglia di Benedello alla festa d’aprile è previsto per domenica 9 giugno alle ore 9:30 presso il Circolo di Benedello in via 5 novembre.
Il percorso si sviluppa ad anello ed è adatto a tutti. La difficoltà dell’itinerario è “medio-facile” (5,5 km, 320 m di dislivello). Il percorso non presenta particolari ostacoli, ma consigliamo di indossare scarpe da escursione, poiché alcuni tratti sono sterrati. Sono previste soste narrative in alcuni luoghi significativi per le vicende storiche della Seconda guerra mondiale. L’ultima tappa narrativa è prevista fra le 11:30 e le 12 presso il monumento eretto in ricordo della battaglia di Benedello nei pressi del Circolo.
Vuoi sapere già da adesso qualcosa in più sugli argomenti della camminata storico-narrativa? Ecco qui un’anteprima sulla battaglia di Benedello!
La battaglia di Benedello
Questa ricostruzione della battaglia di Benedello è una sintesi della ricostruzione che ho svolto nel saggio storico Lottare per scegliere. Antifascismo, Resistenza e ricostruzione a Spilamberto. Diversi partigiani impegnati nel combattimento erano infatti nati e cresciuti nella fascia pedemontana e nell’alta pianura modenese.
Armando passa il fronte
Alla fine del settembre 1944 Mario Ricci “Armando” si trova con la sua formazione partigiana nei pressi del lago Pratignano. L’autunno è molto rigido e a 1.300 metri di altitudine il cibo scarseggia. Armando si sposta verso l’Appennino bolognese e contemporaneamente i nazisti si assestano lungo la Linea Gotica. I partigiani non si accorgono che, nel corso di una marcia, hanno oltrepassato il fronte. Quando se ne rendono conto, non possono più tornare indietro. Glielo conferma anche l’agente dei servizi segreti alleati Ennio Tassinari, che mette in contatto Armando e lo stato maggiore statunitense. Il comandante della Divisione Modena Montagna e i suoi uomini decidono dunque di lottare al fianco degli Alleati al di là della Linea Gotica.
Per la Resistenza emiliana si apre invece una fase di fermenti e incertezze. Da qualche settimana il Comando unico militare dell’Emilia-Romagna (CUMER) ordina alle formazioni di preparare l’insurrezione generale. Le brigate modenesi, molto numerose, sono chiamate a liberare il capoluogo di provincia e ad assistere i bolognesi nella lotta per il controllo della città. Alla fine di settembre, tuttavia, il commissario politico Osvaldo Poppi “Davide” e Renato Giorgi “Angelo” non riescono più a comunicare con Armando. Il momento decisivo sta per arrivare e le formazioni modenesi non ricevono ordini dal comandante.
La Resistenza modenese si riorganizza
I rigori dell’autunno fanno emergere le lacune dell’organizzazione clandestina. I partigiani non sono equipaggiati per affrontare la stagione fredda in clandestinità. Gli entusiasmi dell’insurrezione generale hanno inoltre chiamato a raccolta tantissimi giovani. I rifornimenti di viveri dalla pianura non sono più sufficienti. I partigiani portano quasi allo stremo il sistema della solidarietà contadina, eppure gli aiuti faticano a soddisfare le necessità dei combattenti.
La fame inasprisce il sospetto che la Liberazione sia ancora lontana. Non tutti i partigiani reagiscono allo stesso modo. I più coscienziosi trattano con i contadini e, quando prelevano il cibo, rilasciano ricevute. Altri procedono con requisizioni arbitrarie, che molti confondono con le rapine dei banditi. Diversi criminali comuni sfruttano infatti il caos della guerra totale per mettere le mani su beni altrui. La diffusione dell’illegalità complica i rapporti dei partigiani con le popolazioni della provincia modenese.
Le tensioni salgono e non c’è tempo da perdere. Nella seconda metà di ottobre il CUMER organizza il corpo di spedizione per Bologna, incaricato di liberare la città insieme alle formazioni felsinee. Il “Gruppo brigate Est Giardini”, comandato da Renato Giorgi “Angelo”, è composto dalle formazioni “Gramsci” e “Roveda”, per un totale di 650-700 uomini. Nella “Gramsci” entrano soprattutto partigiani della pianura, agli ordini di Otello Cavalieri “Fulmine” e del commissario politico Amedeo Amidei “Alpino”. Al comando della “Roveda” è posto invece Iris Malagoli “Mario il Modenese”, affiancato dal commissario politico Torquato Bignami “Guido”.
La rinuncia all’insurrezione generale
Il “Gruppo brigate Est Giardini” deve tuttavia fare i conti con le difficoltà dell’autunno. Se alla fine dell’estate il CUMER invocava azioni decise e risolute, nella seconda metà di ottobre invoca prudenza. I modenesi devono attendere gli ordini d’attacco, per non anticipare troppo l’arrivo degli Alleati.
Il comandante Angelo stabilisce un piano di avvicinamento a Bologna tanto accurato quanto prudente. I reparti tedeschi sono presenti in tutta la Quinta zona partigiana modenese, da Spilamberto a Marano sul Panaro, da Guiglia a Castelnuovo Rangone. Non è neppure facile attraversare i fiumi, mentre il fango e il freddo impediscono ai partigiani di dormire all’aperto.
I comandanti organizzano un servizio informazioni tra Pavullo e Torre Maina, poi prendono contatti con i Comitati di liberazione nazionale di Castelvetro, Vignola e Bazzano. Tuttavia i dirigenti della Resistenza invitano i combattenti alla cautela. Ennio Tassinari conferma le difficoltà degli Alleati, bloccati dal maltempo e (forse) dal timore che una Liberazione troppo rapida apra la strada a un tentativo rivoluzionario.
Partigiani a Benedello
Alla fine di ottobre il “Gruppo brigate Est Giardini” decide dunque di non scendere verso la pianura. Per rifornirsi, le formazioni si trasferiscono nella zona di Montespecchio, dove subiscono un attacco tedesco. Alcuni uomini della “Roveda” e il distaccamento russo della Brigata “Gramsci” si mettono in salvo passando le linee. Altri gruppi si spostano sulle alture intorno a Pavullo.
Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre Ennio Tassinari raggiunge il comandante Renato Giorgi per trasmettergli importanti ordini. Dal momento che non è possibile sostenere i partigiani nel pavullese, i comandanti devono spostare le brigate a Montespecchio per favorire i rifornimenti via terra. In quei giorni diversi nuclei di entrambe le formazioni si trovano nella zona di Benedello, facilmente raggiungibile dalle truppe naziste e fasciste.
Il pericolo di subire un attacco è reale, ma Iris Malagoli decide di trascorrere a Benedello la notte fra il 4 e il 5 novembre. I partigiani si assestano nelle località di San Pietro, Villa, Chiagnano, Monte Cesare, Camon Grande e Casa del Monte. I tedeschi e i fascisti, individuata la posizione dei “ribelli”, organizzano un rastrellamento. Piazzano le batterie di artiglieria nei pressi di Coscogno, Ponte Samone e Castagneto, poi allestiscono postazioni di mitragliatrici lungo le strade di Festà, Coscogno, Montenero, Iddiano, Castagneto, Ponte Samone e al bivio dell’Osteria di Sant’Antonio.
Inizia l’attacco
Tra le 7 e le 8 del 5 novembre i nazisti aprono il fuoco. I partigiani si svegliano circondati dalle truppe in assetto da combattimento e devono battersi in condizioni di inferiorità. Lo sgomento di quel mattino emerge dalle parole dello spilambertese Marino Bruzzi, comandante di un battaglione partigiano dislocato a Benedello.
Inviammo fuori le pattuglie e ci suddividemmo i compiti con le altre formazioni. Iris doveva guardare la strada Benedello-Pavullo, noi un’altra zona tra cui Coscogno, verso il quale piazzammo la nostra arma pesante, una breda 37. Poi sentimmo delle raffiche che provenivano dalla direzione di Festà, dove poi sapemmo, si era fermato Fulmine di ritorno dalla azione svolta a Marano. […] A Benedello, mancando Fulmine, l’“Alpino” ed io eravamo i più responsabili.
Avvertiti dalla famiglia Donini, “Fulmine” e alcuni suoi compagni fuggono dal rastrellamento. Secondo diversi testimoni della battaglia, però, quattro partigiani vengono catturati nei boschi della località Codicello.
I nazisti e i fascisti li fucilano insieme a un altro giovane, catturato poco dopo di loro. Nel frattempo a Benedello i partigiani di Marino Bruzzi cercano di reggere l’urto dei tedeschi.
Le nostre tre postazioni tennero duro e ricacciarono indietro il primo assalto del nemico infliggendogli dure perdite. Li lasciammo venire sotto e poi ordinammo il fuoco. Fu proprio Paolo Ansaloni “Tito” con il suo mitragliatore ad aprire il fuoco. Purtroppo il nostro fianco, quello guidato da Iris, cedette, sembra a seguito del fatto che gli si inceppò una mitraglia. Ci trovammo sotto il tiro dei tedeschi che ci sparavano da Benedello e uccisero due partigiani della squadra di “Tito”. […] Allora ci siamo spostati con altre formazioni verso una casa contadina un po’ fuori tiro, una casa rossa che non ricordo bene come si chiamasse. Eravamo in circa trecento partigiani.
La lunga battaglia di Benedello
L’attacco nazista e fascista s’interrompe intorno alle 10. Tuttavia la tregua dura poco, poiché le truppe sono determinate a infliggere duri colpi alla Resistenza. Diversi partigiani vedono nel guado del Panaro l’unica via verso la salvezza. Tuttavia anche l’attraversamento del fiume si prospetta complicato: le piogge rendono gli argini scivolosi e ingrossano la corrente. Marino Bruzzi ricorda la concitazione di quei momenti.
Percorremmo poco meno di un kilometro e constatammo che eravamo completamente accerchiati, ci sparavano contro da tutte le direzioni cominciando da Festà. Non rimaneva che tentare di resistere fino al tramonto e tentare al buio di rompere l’accerchiamento. Li lasciammo nuovamente venire vicino e rispondemmo con un fuoco concentrico al nuovo massiccio attacco apportato anche da mortai, mitraglie pesanti e artiglieria. Ricevettero una severa lezione e furono ricacciati indietro e fino alla sera non osarono ripartire all’attacco. Avevano subito dure perdite. Anche noi avemmo altri morti e feriti tra cui ferito a un braccio Giovanni Lorenzoni e mortalmente alla testa lo studente di medicina Luigi Grandi di Spilamberto.
Diversi partigiani vengono colpiti nel tentativo di raggiungere il fiume, altri mentre attraversano la corrente. Secondo i partigiani Roano Contri e Renato Giorgi, un mitragliamento aereo degli Alleati decide le sorti della battaglia. L’arrivo dei velivoli si deve all’impegno di Ennio Tassinari, che segnala alla radio la necessità di intervenire a sostegno dei partigiani. La battaglia di Benedello costa alla Resistenza modenese 32 morti e diversi feriti, ma non si conclude con la distruzione delle formazioni. I nazisti e i fascisti non raggiungono dunque il loro obiettivo. La lotta di liberazione prosegue grazie alla resilienza dei combattenti, che si sganciano e ricominciano l’attività clandestina.
Le difficoltà del ripiegamento
Marino Bruzzi racconta anche le difficoltà del ripiegamento. Il buio copre la fuga dei partigiani, ma rende invisibili anche i profili dei tedeschi e dei fascisti, che non rientrano subito alle basi.
Mentre ci avvicinavamo al fiume sentivamo i tedeschi e i repubblichini parlare. Erano vicinissimi. Per raggiungere il fiume dovevamo attraversare una strada e sentivamo i passi del nemico. In direzione dei rumori scaricammo le armi e raggiungemmo di corsa il fiume. Ci caricammo di sassi per aumentare il peso e non essere travolti dall’impeto dell’acqua, tenendo le armi e le munizioni in alto il più possibile perché non si bagnassero, tentammo il guado ma non c’era nulla da fare, l’acqua era troppo alta. Si era anche alzata la luna e i tedeschi dalle vicine case ci potevamo vedere. Decidemmo di tornare indietro e di tentare la sortita in altre direzioni. Era freddo e un compagno bolognese che avevo con me fu colto da un’improvvisa crisi di scoraggiamento. […] Gli diedi qualche schiaffo e si riprese.
In certi momenti i comandanti partigiani devono usare le maniere forti. L’esitazione di un compagno può infatti rivelare la posizione del gruppo. La luce della luna non lascia margini di errore al tentativo di fuga, dal momento che i tedeschi non sembrano determinati a rientrare.
Raggiungemmo la strada per Pavullo, attendemmo sdraiati che transitasse una colonna di automezzi tedeschi con i fari mimetizzati e ci incamminammo in una zona che io conoscevo abbastanza bene per esserci stato altre volte. Entrammo in un seccatoio di castagne e ci facemmo una fumata coprendo con cura le sigarette affinché non fossimo visti.
Nella battaglia del 5 novembre le forze armate germaniche e i fascisti saccheggiano e bruciano diverse case di Benedello, ma non uccidono civili. Nell’inverno successivo la popolazione affronta le difficoltà del freddo e della fame. I pericoli della guerra continuano a incombere sul territorio pavullese, ma diverse famiglie contadine non smettono di aiutare i partigiani, fornendo un contributo decisivo alla lotta di liberazione.
Ti aspetto ai prossimi appuntamenti!
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26 Marzo 2023 alle 22:56
Bellissimo!!!! Sapere la storia
26 Luglio 2023 alle 18:58
Ciao Mirco, solo ora vediamo il tuo commento. Scusaci, ma abbiamo avuto una primavera e un mese di luglio molto intensi. Grazie mille, siamo contenti ti sia piaciuto.
29 Settembre 2024 alle 23:09
Sono Umberto Cappi, nipote dell’omonimo Umberto caduto nella battaglia di Bebedello…questa storia mi è stata raccontata fin da piccolo da mia nonna a Serramazzoni…lasciando in me un profondo senso di appartenenza alla brigata partigiana…sarò sempre dalla parte degli onesti. Un abbraccio. Umberto Cappi.