“I bagagli non si possono spedire, con tutti i cavalli non si può andare avanti ed è doveroso rimandare i contadini alle loro famiglie, che attendono con ansia disperata. Che si fa? Bisogna lasciare qua tutta la roba e caricare su una charrette il puro indispensabile. Ben poco salviamo. Io guardo con tristezza le valigie che i contadini riportano a casa loro e li supplico di salvarle, di nasconderle. È mezzogiorno… ed io non ho fatto nulla, non sono nemmeno stata alla messa”. Così Maria, a 21 anni, fugge dalla sua Pordenone insieme ad altri 500.000 esuli di Caporetto. E questo è il ritmo che scandisce tante storie di profughi della Prima guerra mondiale.

Esploro queste vicende da quasi due anni. Prima è venuta la ricerca storica, che ho raccontato qui. Poi è arrivato il momento di raccontare le vicende ricostruite anche fuori dalle sale dei convegni. Proprio per questo, su impulso della rete degli Istituti Storici dell’Emilia-Romagna, è nato l’history telling In fuga dalla Grande Guerra. Storie di profughi e cittadini emiliano-romagnoli nel conflitto totale. La “prima” è andata in scena sabato 3 novembre 2018 al Teatro del Tempio di Modena. Una serata densa di parole e di emozioni, resa speciale dalle performances degli attori Federico Benuzzi, Lorenzo Costantini e Giovanni Galli.

profughi della prima guerra mondiale

L’attore Giovanni Galli

Eri in ferie per il ponte e te la sei persa? Non ti resta che sperare in una prossima “replica”! Intanto, però, anche se non dà le stesse emozioni dello spettacolo dal vivo, puoi leggerti alcune pillole del racconto…

Profughi della Prima guerra mondiale in Emilia e in Romagna

Il filo rosso della narrazione storica segue le vite di donne e uomini che, più o meno improvvisamente, diventano profughi della Prima guerra mondiale. Alcuni di loro, pur parlando italiano, sono sudditi dell’Impero asburgico: per questo, agli occhi dei nazionalisti, non possono essere altro che “austriacanti”. Persone pericolose, da sorvegliare o da internare. Entrano così in scena isole come Ventotene, “perfette” per tenere lontani gli individui sospetti. Le famiglie si dividono, ma non si rassegnano. Ce lo dimostra Elisabetta Canali, profuga trentina a San Lazzaro Parmense, che si rivolge al Comitato di assistenza civile per chiedere il ricongiungimento con il marito.

Fiduciosa delle belle parole caritatevoli che ci riferì ieri il signor commendator prefetto di Parma, volevo pregare questo lodevole comitato di innoltrare tutti i passi possibili, perché mi giunga il mio marito Canali Valentino di anni 56 appartenente al Comune di Brentonico in Castione. Che il giorno 20 novembre il governo italiano lo internò a Ventottene. Fiduciosa che questo Lodevole Comitato per mezzo del signor commendator vorranno darmi questo gran contento. Ben di stintamente li rigrazio, e mi segno sua obbligatissima Canali Elisabetta.

Gli scenari peggiorano ulteriormente nell’autunno del 1917. La rotta di Caporetto fa scattare l’emergenza-profughi: dalla stazione di Bologna transitano 100.000 civili in meno di un mese. All’inizio le autorità si mobilitano per assisterli, poi però scoprono che tra di loro s’infiltrano spesso soldati sbandati… e i toni mutano drasticamente. Ce lo testimoniano le parole di Vincenzo Quaranta, il prefetto della città felsinea.

Nessun funzionario della stazione ha mai inviato a codesto Comitato dei profughi. Questi vengono fatti proseguire per altra destinazione, ma certo non si può escludere che alcuno sfugga alla vigilanza mescolandosi tra i viaggiatori comuni che escono dalla stazione. Costoro, con ogni probabilità sono quelli che vengono poi alla sede di codesto Comitato e secondo il costume di siffatta gente, che teme sempre di essere colta in fallo, per evitare di venire respinta dichiara di essere stata indirizzata dall’ufficio di P.S. della stazione.

La guerra e la follia

Grazie alle ricerche storiche di Marco Marzi, il racconto si sposta poi all’ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia. Un luogo decisivo per la guerra italiana, poiché proprio lì vengono raccolti i soldati affetti da disturbi mentali. Lontano dai militari, in reparti isolati, si trovano gli ospiti “regolari” della struttura, ovvero i malati cronici. Tra di loro si mescolano anche donne e uomini costretti a lasciare le cliniche del nord-est per l’irrompere della guerra.

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L’attore Federico Benuzzi

Le lettere del conte Pietro Cappello, nato e vissuto a Noventa Padovana, sono folgoranti. Nel rapido alternarsi di lucidità e manie persecutorie, il profugo trasmette le tensioni e i sospetti del suo tempo.

Sono convinto che nella gran maggioranza della nazione – e dell’umanità – alligni assai meno il sentimento di patriottismo – e della poesia di quello che si vorrebbe dare ad intendere – anche coll’aiuto di fatti e di circostanze complici in questo; – e sia essa più tosto dominata dalla menzogna e dall’egoismo di despoti – mi si è prostituita – che l’hanno tiranneggiata sempre – ed ora peggio che prima. Ciò è da me sentito – ed è indubbio – sebbene non sia per me dimostrato: diversamente non mi vedrei condannato a soggiacere ad ingiustizie che non hanno nome – ed a torture – che hanno fatto della mia vita una vera dannazione infernale.

Queste parole, indirizzate al poeta Clemente Rebora, riflettono con estrema efficacia non solo le patologie dell’autore, ma anche (e soprattutto) il clima del 1918. Dopo Caporetto i sostenitori della guerra sono ossessionati dalla “minaccia” dei “disfattisti”. Non c’è più margine per chiedere la pace: chi non appoggia completamente lo sforzo bellico è atteso da provvedimenti di esclusione e punizione.

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Emerge l’anima della storia

Nel corso del racconto, inserisco le storie dei profughi della Prima guerra mondiale nel contesto delle province emiliane e romagnole. Questo sforzo di inquadramento è determinante per accompagnare il pubblico alla scoperta della storia, ma da solo non può bastare. Serve un passo in più, uno stimolo emozionale, che avvicini le vicende di ieri alle persone di oggi.

Lo slancio emotivo arriva dalle performances degli attori Federico Benuzzi, Lorenzo Costantini e Giovanni Galli. Non deve essere semplice prestare la voce alle parole di persone realmente esistite. Immaginare le loro emozioni, entrare nei loro pensieri… Per farlo, servono l’esperienza dello storico e il mestiere dell’attore. Quando i due elementi si combinano, si forma un ponte tra il passato e il presente.

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L’attore Lorenzo Costantini

Succede proprio questo, ogni volta che Federico, Lorenzo e Giovanni prendono la parola. Grazie alle loro voci, il pubblico scopre la vicenda del sedicenne Anselmo Di Marco, profugo del Friuli, che passa da Parma e si stabilisce a Modena.

Siamo arrivati a Verona, là ci diedero da mangiare pane e mortadella, e dopo ci domandarono se si voleva partire per Bologna e io ho detto per Milano, intanto il treno partì. In quella notte abbiamo viaggiato in un vagone soli, quindi abbiamo fatto un piccolo pacco per omo, di quel po’ di roba che si aveva, e poi ci siamo messi per fare un pisolino, ma in quel freddo che c’era, non abbiamo chiuso nemmeno un occhio; alle 7 di mattina siamo arrivati a Milano, che ci accolsero molto bene, ci hanno portati a prendere il caffè e ci trattennero fino a mezzogiorno.

Una storia che prosegue…

Archiviata la “prima”, non vedo l’ora di replicare l’history telling In fuga dalla Grande Guerra. Storie di profughi e cittadini emiliano-romagnoli nel conflitto totale in altre città dell’Emilia-Romagna. Intanto, però, mi preparo per il convegno regionale Dalla fine della guerra alla nascita del fascismo. Un punto di vista regionale sulla crisi del primo dopoguerra (1918-1920), in programma a Forlì venerdì 16 e sabato 17 novembre 2018. Questo appuntamento concluderà il progetto “Grande Guerra Emilia-Romagna”, promosso dalla Rete regionale degli Istituti storici.

In quella sede, insieme ad Alessandra Mastrodonato e Domenico Vitale, terrò una relazione dal titolo I profughi tra società e soggettività: il problema del ritorno.

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