La storia di Modena nel secondo dopoguerra non è forse tra i periodi più noti al grande pubblico, che spesso invece privilegia – o viene portato a privilegiare – il passato romano della città o quello, spesso celebrato, della dominazione estense. Molte guide turistiche, poi, arrivano a citare la guerra partigiana, in virtù della quale si ricorda come Modena abbia ricevuto la medaglia d’oro al valor militare, e poi “saltano” velocemente allo sviluppo industriale e all’oggi. Per la provincia la situazione non è tanto diversa, pur con qualche significativa eccezione. Eppure, proprio il Novecento e gli anni del secondo dopoguerra ci raccontano tanto di quello che è la provincia di Modena oggi e di quello che siamo noi modenesi. Si potrebbe obiettare che l’ultimo secolo non ha lasciato “segni” degni di nota sulla città e sui comuni della provincia, ma non è proprio così. I segni ci sono e ci raccontano tanto, basta che qualcuno voglia farsi carico di interpretarli e costruire un discorso storico comprensibile ai più. Credo che una narrazione documentata e ben fatta possa dare dignità e bellezza a molti luoghi che guardiamo distrattamente o non vediamo affatto: la dignità e la bellezza delle storie che racchiudono e che ci parlano di noi.
Me ne convinco sempre di più camminata dopo camminata, pedalata dopo pedalata. Me lo dicono e me lo ripetono le (tante) persone che hanno partecipato alle iniziative proposte questa primavera per il progetto #cittadine. I segni nelle comunità e sulle città. Sia chiaro: non si tratta di un progetto di valorizzazione turistica, ma prevede anche azioni di restituzione sui luoghi che hanno indubbiamente risvolti e intrecci con l’ambito turistico. Azioni che si concretizzano in iniziative che sfruttano una modalità di fruizione particolarmente coinvolgente per restituire al pubblico gli esiti di una ricerca storica. E che scatenano la curiosità di saperne di più, sulla storia di Modena, e la voglia di tenersele strette, quelle storie: “com’era il titolo di quel libro che hai citato? Dove si possono vedere quei documenti? Hai un testo scritto di quello che hai detto, così lo porto a chi non è potuto venire? Così me lo rileggo…“. Sono solo alcuni dei riscontri che mi capita di raccogliere durante queste iniziative!
È successo anche il 2 giugno scorso, quando però – rispetto a quanto fatto il 25 aprile (guarda l’evento e leggi il racconto di com’è andata) e il Primo maggio (qui l’evento e qui il racconto di una delle tappe) – abbiamo aggiunto un’importante novità.
Le 5 tappe della nostra camminata nella storia di Modena sono state introdotte (tranne l’ultima, che invece è stata chiusa) da letture di documenti legati al tema proposto per ogni specifico luogo. Questa nostra scelta ha avuto l’effetto di richiamare l’attenzione del pubblico e di calarlo nel cuore del discorso, richiamando in vita le protagoniste e i protagonisti di quelle storie attraverso le loro parole. Parole lette magistralmente, perché la felice intuizione degli organizzatori dell’iniziativa è stata quella di affidare le letture ad attori professionisti: Diana Manea e Nicola Bortolotti del progetto Un bel dì saremo di ERT Fondazione, che ha non pochi contatti col nostro. Le efficaci interpretazioni dei due attori hanno provocato ogni volta nuove emozioni nel pubblico, rapito in ascolto. Rispetto alle letture, la narrazione delle due storiche alla guida del gruppo (io e, per un paio di tappe, Paola Bigini), hanno costituito invece una sorta di “ritorno alla razionalità”, un’ancora scientifica. Abbiamo infatti cercato di fare una sorta di commento alle letture, proponendo un discorso storico che ha permesso di contestualizzare le testimonianze e i documenti, capirne il senso e legare tra loro i fatti evocati inserendoli anche in una cornice più ampia.
E così, passo dopo passo nella storia di Modena – muovendoci in uno scenario fatto prima di distruzione e macerie e poi di lenta ricostruzione – abbiamo approfondito i vari aspetti legati ai temi del lavoro e dell’impegno della comunità modenese nella Ricostruzione democratica. Insieme abbiamo riflettuto su quanto è stato fatto nei primi anni del dopoguerra per riportare alla vita le comunità locali, anche attraverso la novità della presenza delle donne nella sfera pubblica, sociale ed economica. Abbiamo rivissuto i problemi della disoccupazione, le lotte per i diritti e le grandi iniziative di solidarietà… Con l’immaginazione abbiamo visto la stazione dei treni di Modena popolarsi di centinaia e centinaia figli della guerra: bambini stupefatti, provenienti da Roma o da Napoli, che al loro arrivo in città scambiano la neve per ricotta e che qualche mese dopo da Modena non vorrebbero più ripartire. Abbiamo guardato alla Manifattura tabacchi con occhi diversi: quelli delle operaie di quegli anni, a volte riconoscenti, a volte arrabbiati, in un groviglio di disperazione e voglia di riscatto, che a volte cede al bisogno. Abbiamo poi camminato per le vie del centro fino ad arrivare in piazza Grande, nelle sale del Palazzo Comunale, dove, dopo tanto odio e tanta distruzione, uomini e donne insieme sognavano e provavano a cambiare il mondo.
Siamo tornati a casa un po’ più consapevoli di noi stessi, del mondo in cui viviamo e di ciò che può essere oggi nelle nostre mani.
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