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«Oggi vigilia di Natale, la vigilia per eccellenza; quella cui il popolo e la tradizione affidano un bagaglio ricco oltremodo di antiche costumanze, di ricordi famigliari; quella alla quale noi teniamo come ad un tesoro nostro, solo nostro, che si condensa nell’italico presepe e nel ciocco che per cinque giorni deve ardere sotto la cappa del focolare.
Ma, purtroppo, è vigilia imbronciata quella che si apre stamane sul cielo che seppure non è limpido, non è tuttavia tempestoso. La guerra, l’occupazione della nostra terra, fanno sì che codesto broncio maggiormente si mostri nella maschera di quel volto che per antica abitudine deve essere giulivo; ma quello che più rattrista le nostre massaie, oltre a ciò, è la carestia che si è fatta signora del nostro mercato, è la mancanza assoluta di quei commestibili che sono indispensabili per degnamente celebrare la solenne vigilia, giorno nel quale è di dovere mangiare di magro».

Nel 1943 Adamo Pedrazzi inizia così la sua cronaca della vigilia di Natale a Modena. Ha cominciato a tenere nota degli avvenimenti cittadini subito dopo l’occupazione nazista della città e ha registrato meticolosamente non solo gli eventi, ma anche gli umori della popolazione. Dall’inizio della guerra, il cibo è razionato e il 1943 è stato l’anno più difficile fino ad allora perché molti generi sono stati scarsamente disponibili. Così anche la cena della vigilia più che “di magro” si profila magra:

«Ad esempio il pesce, padrone della mensa o cenone della vigilia, è per mancare. Infatti l’annuncio dato in anticipo che soli tre quintali di pesce sarebbero stati immessi nel mercato, aveva fatto sì che nel mattino altissimo, le nostre donne, portatesi al mercato di Piazza, si acconciassero alla estenuante coda, cui da tempo sono avvezzate. Hanno atteso ore ed ore, tanto che alle 10:30 neppure l’ombra dell’acquatico animaluccio s’era fatta scorgere. Dopo sono rimaste per la maggior parte, col solito palmo di naso; poiché una modesta cassa di anguille è stata sufficiente ad accontentare un irrisorio numero di persone. Di pesce quindi sarà priva la cena ed in sua vece si consumeranno trippe che, per contro, erano in ampia dose comparse sul mercato. Ma, mi direte, e la tradizione come la si potrà rispettare, in tale modo? Ed avrete ragione da vendere in così dire, ma mettetevi bene in mente che non sempre si può ottenere ciò che si vuole, ed in proposito abbiamo esempi sottomano ad ogni momento. Osservate infatti che se manca il pesce, il resto non abbonda, poiché i padroni di casa tengono le chiavi dei nostri ben forniti magazzeni e noi non toccheremo né grassi, né maiale, né tutto ciò che di solito siamo usi a consumare, nella festività natalizia. Per somma grazia ci è stato somministrato un etto di olio di vinaccioli per persona; è una vera manna che su di noi è caduta dopo 4 o 5 mesi di preghiere spese per invocarla, e… molta marmellata è venuta a compensare le altre mancanze».

Adamo Pedrazzi, direttore dell’Archivio storico comunale, è un uomo d’ordine e rispetta le istituzioni, anche quelle del fascismo repubblicano. Eppure, di fronte alle difficoltà della vita quotidiana, nel suo scritto privato neppure lui rinuncia a una punta d’ironia. Da anni, infatti, il regime e poi la Repubblica sociale cercano di riempire i vuoti calorici della dieta italiana con robuste dosi di frutta. I giornali esaltano le virtù nutritive dei prodotti locali, sia quelle vere sia quelle presunte. Anche i ricettari e le pubblicità si riempiono di consigli su come utilizzare al meglio ciò che si raccoglie nei campi. Tuttavia, la propaganda funziona… fino a mezzogiorno, quando lo stomaco comincia a brontolare e non c’è niente che lo faccia fermare.

«Il vino, da un mesetto sotto catenaccio, ha fatto la sua apparizione in ragione di litri 4 per uomo, purché non sia approvvigionato, e questa è stata una eccezionale concessione poiché lo stridulo catenaccio ha nuovamente serrata la fonte, e fortunato chi s’è potuto cavare la sete.
Si era vociferato di una fortunata distribuzione di polli a prezzi addirittura rovinosi, ma nel mattino si era camminato invano da Scilla a Cariddi per mettere le mani sul pollame, solo nel pomeriggio i pazienti, quelli che sanno aspettare, perché conoscono a loro spese che in tema di approvvigionamenti non ci vuole fretta, sono stati i più fortunati, in quanto nel pomeriggio giungevano al mercato coperto gabbie parecchie di pennuti… spennati. I prezzi erano ottimi e si poteva comperare una mezza gallina od un mezzo cappone a lire 45 al chilo, mentre l’oca scendeva a 36, il tacchino a 38 ed il coniglio a 26. Cotesti erano i prezzi d’imperio, ma chi fuori dal mercato ha pensato in anticipo alle sue provviste può assicurarvi che la gallina o il cappone si potevano ottenere dal contadino allevatore, solo pagandoli in ragione di lire 70 ed anche più, vivi, per ogni chilogrammo. Quanto ai prezzi degli altri commestibili di poco variano le proporzioni, al segno che un pizzico di lardo lo si paga in ragione di 140 od anche 150 lire al chilo! […] Si galoppa verso un’ascesa che non ha fine visibile agli occhi: dove si andrà a finire?» 

Il cronista non può dirlo chiaramente, ma “chi” si è mosso “fuori dal mercato” ha fatto ricorso alla borsa nera. Il cibo, scarsissimo nelle vie legali, sottobanco si trova sempre, perché non mancano i produttori e i trafficanti desiderosi di arricchirsi con le speculazioni. Il fascismo repubblicano fa la voce grossa contro “i ladri neri”, ma è tutta propaganda. Le autorità si guardano bene dall’agire efficacemente per stroncare i traffici clandestini: a rifornirsi illegalmente grazie alla borsa nera sono, infatti, gli stessi protagonisti e sostenitori del governo collaborazionista, che ha l’appoggio di una parte consistente della classe benestante.

Il mercato coperto dove le donne si recano alla vigilia del Natale a Modena

Intanto in montagna…

In quella vigilia di Natale il racconto di Adamo Pedrazzi si spinge, poi, fino all’Appennino, da dove arrivano notizie che allarmano i benpensanti modenesi.

«Una triste notizia ci viene dalla montagna! In quel di Montefiorino, e più esattamente nella frazione di quel comune detta Gusciola, un carabiniere veniva ucciso in una imboscata da parte di alcuni ignoti. Il brigadiere che era col milite è rimasto incolume sebbene fatto segno a colpi di fucile e di bombe a mano. Il fatto è avvenuto alle ore 11 di giovedì 23 dicembre; il carabiniere rispondeva al nome di Lino Pifferi. Si ritiene che autori dell’omicidio e del mancato omicidio facciano parte di quella banda di renitenti che si sa essersi formata costà sulle asperrime montagne della Val Dragone. Sono stati inviati rinforzi di uomini armati per dare mano forte alla Benemerita, al fine di catturare, possibilmente, codesta banda che, a quanto si va dicendo, ha vera formazione di combattimento ed è provvista di ottime e numerose armi. Ha un suo comando, ha uno stato maggiore, per così dire, ed ha gli uomini addetti ai servizi logistici che provvedono alle provvigioni tacitando i venditori con buoni che saranno pagati – essi dicono – ad una prossima scadenza».

Chiamati alle armi per formare l’esercito del nuovo Stato fascista, molti giovani non hanno alcuna intenzione di presentarsi. Tre anni di guerra hanno aperto gli occhi a tanti e la prospettiva delle armi incanta meno. Tuttavia, in un tempo tanto liberticida, l’obiezione di coscienza non è ammessa e l’unica alternativa è allontanarsi, nascondersi. L’Appennino offre ottimi nascondigli, ma anche l’occasione per meditare sulle proprie scelte: combattere la violenza con la violenza? Fare la guerra alla guerra? Boicottare la guerra senza toccare le armi? Restare nascosti e salvare prima di tutto sé stessi? Le vie della Resistenza sono tante e diverse. Al contrario di ciò che sembra pensare Pedrazzi in quella coda del 1943, anche le donne fanno le loro scelte. Volontarie a pieno titolo, tutte, quando scelgono di fare Resistenza civile o di aderire alla lotta armata, occupandosi anche – ma non solo – dei “servizi logistici” citati dal cronista. Per qualcuna offrire sostegno logistico è una scelta “naturale”: il fascismo e secoli di cultura patriarcale non avevano forse insegnato alle donne che il loro ruolo era quello di sostenere gli uomini? Per altre questi mesi sono invece l’occasione per sperimentarsi in qualcosa di totalmente nuovo, che permetterà nel tempo la costruzione di un’identità diversa.

25 dicembre 1943: il Natale a Modena

«Una nebbia fitta fitta ha aperta la giornata natalizia; però era da prevedersi che ben presto il sole l’avrebbe spuntata sulla bianca coltre sospesa nell’aria; infatti, alle 9 del mattino, luminosi raggi di sole filtravano tra quel biancore, che in breve scompariva per dare luogo ad un giocondo sereno. Festa quindi in cielo ed in terra, letizia soffusa nelle case, ma sempre letizia, perché il Natale è un giorno che ha il potere di fare tacere dolori ed angustie, sia pure per breve lasso di tempo.
Purtroppo però in alcune terre d’Italia anche la giornata di Natale doveva segnare un nuovo lutto, arrecando nuove croci sul desolato calvario in cui viviamo.
Alle ore 10:30 eccoti che la sirena sibila rabbiosa un suo primo allarme durato per mezz’ora. Intenso in quel momento il via vai cittadino, consono al giorno di festa, quindi il frettoloso correre ai rifugi o la fuga verso la campagna si accentua».

In quell’inverno un giorno di sole non è mai una buona notizia. Il cielo chiaro permette agli aviatori britannici e statunitensi di alzarsi in volo per bombardare l’Italia occupata dalle forze armate tedesche. Modena non è ancora stata colpita, ma tra le strade hanno già risuonato i boati delle incursioni aeree che da luglio hanno più volte devastato la vicinissima Bologna. Le notizie dei danni si sono mosse rapide, precedendo le migliaia di persone che sfollavano dalle città colpite. Anche per questo, in quello strano Natale a Modena la sirena d’allarme fa paura. Per riportare un po’ di tranquillità non bastano neppure le parole della propaganda britannica e statunitense, che assicura di colpire soltanto le infrastrutture, le fabbriche belliche e gli obiettivi militari. D’altra parte, è possibile centrare uno stabilimento o una stazione senza devastare le case costruite tutto intorno? E come si può essere certi che non arrivi mai un errore fatale?

«Scomparso il pericolo si ritorna all’aperto col viso sorridente per averla scampata, ma i modenesi sebbene nutrino [sic] fiducia che il loro santo protettore possa salvarli da un’irruzione di velivoli devastatori, si fanno nondimeno ogni giorno più timorosi, e ad ogni fischiare di sirena esclamano angosciati: speriamo che non sia la nostra volta! Oggi, dopo l’allarme, i cittadini si sono recati a frotte nelle chiese specie nella cattedrale, ove l’arcivescovo teneva una omelia natalizia. Ma nel bel mezzo della predica – ore 11:30 precise – un nuovo segnale d’allarme viene a disturbare il sacro rito. L’arcivescovo troncò il suo dire ed invitò i fedeli senz’altro ad uscire di chiesa onde recarsi alle proprie case od ai rifugi. Fu obbedito, ed in men che si dica il Tempio si vuotava dei suoi frequentatori. Le vie pullularono di nuovo di fuggenti i quali deprecavano che anche nel dì del Natale dovessero restar privi della Santa Messa a causa dei velivoli anglo-americani, che, approfittando di una luminosa giornata di sole, davano compimento ai loro disegni di devastazione, incuranti se l’ora ed il giorno fossero i meno indicati alla bisogna; ma il cuore di chi regge le sorti della guerra, deve avere un pelo lungo assai e tale che viene a privare di ogni battito generoso, quel cuore di per sé duro».

Duomo romanico all'antivigilia del Natale a Modena

«Il ritorno alle case venne per tale motivo ritardato da parte di quei cittadini che ottemperanti alle disposizioni superiori si erano allogati nei rifugi, ma allorché il mezzogiorno era da un bel poco trascorso, si accese una vera lotta tra rifugiati e vigili addetti alla disciplina del luogo. Questi vigili si trovarono, in un dato momento, incapaci di tenere fermi al loro posto uomini, donne, bambini i quali a viva forza raggiunte le vie d’uscita sciamarono frettolosi per le strade cittadine per raggiungere le loro case ove il pranzo natalizio era ad attenderli. In quel mentre però giungevano da lontano rombi e schianti di esplosivi, quei tali sintomi che narrano a noi di ecatombe di edifici e di esseri umani che si avverano colà ove simili ordigni vanno a colpire. Il sordo e pauroso rumore veniva da più parti, dal nord invero, dalla parte di Verona cioè, e da un altro lato, non bene distinto, ma che doveva trovarsi oltre Bologna ed oltre Appennino. Lo stato d’allarme è durato parecchio, cioè sino alle ore 14:30, quando ormai più non giungevano a noi i segni o boati delle incursioni avvenute altrove. Successive notizie ci hanno fatto sapere che i bombardamenti del giorno natalizio hanno avuto per oggetto impianti ferroviari a Bolzano, l’aeroporto di Vicenza e centri ferroviari a Pisa».

Anche se gli informatori di Adamo Pedrazzi comunicano gli obiettivi delle incursioni, il cronista non si sofferma a descrivere i loro effetti. D’altra parte, in tempo di guerra, non è semplice ricavare notizie attendibili e le devastazioni sono ormai talmente frequenti che si rischia di confonderle. Indagando, però, si può scoprire che il “sordo e pauroso rumore” avvertito nel giorno di Natale a Modena non proviene dall’aeroporto di Vicenza, ma dalla periferia della città veneta. Infatti, i bombardieri B-54 mancano l’obiettivo: non colpiscono la pista del campo di aviazione, ma alcune zone abitate. Tra i quartieri meridionali e le campagne a ridosso dell’area urbana si contano 31 morti, una trentina di feriti, 16 case distrutte e altre 26 danneggiate in modo grave.

Il pomeriggio di Natale a Modena

«Nel pomeriggio sotto un sole smagliante e caldo, si è completata la giornata festiva. La città si popolava al centro assumendo l’aspetto dei giorni di fiera: i cinematografi facevano affari d’oro ed i teatri pure. La voglia di divertirsi per i più, il bisogno di svagarsi e distrarsi per i meno, fanno sì che i luoghi di pubblico divertimento siano sempre zeppi oltre misura: se questo affluire, quasi morboso, di popolo colà ove si ride o si trascorre un paio di ore senza pensieri preoccupanti, può segnare la panacea per curare il grave ed insanabile male della Nazione, ben venga; ed anche i moralisti, che arcigni arricciano il naso con disprezzo constatando che in momenti tristi e tragici come quelli in cui tiriamo innanzi i nostri giorni vi sia gente che pensa a divertirsi, finiranno per smettere la loro mutria di irreprensibili Catoni, in base al principio, qualche volta buono, che il fine può giustificare il mezzo».

Nel 1943 i modenesi vivono il quarto Natale di guerra e il primo dell’occupazione nazista. Cercare una giornata di svago, per non farsi schiacciare dal peso di un’epoca insostenibile, è umano. Tanti sanno, però, che non è possibile sfuggire per sempre ai problemi del proprio tempo. Anche per questo, nelle settimane più complicate dell’inverno, qualcuno comincia a organizzarsi per fronteggiare attivamente l’emergenza portata dalla guerra totale. Di lì a poco, infatti, moltissime persone saranno chiamate a compiere scelte decisive per le loro sorti future.

Buone feste da Allacciati le storie

Le citazioni dalla Cronaca dell’occupazione nazifascista di Modena sono tratte dall’esemplare della Cronaca conservato presso la Biblioteca civica d’arte Luigi Poletti di Modena, dove spesso abbiamo fatto ricerca storica. Anche quest’anno abbiamo pensato di farti gli auguri di buone feste regalandoti una storia relativa al Natale a Modena, in qualche sua parte anche divertente. Non viviamo tempi facili, molte preoccupazioni affollano le nostre teste e sappiamo di dover affrontare momenti difficili. Che queste giornate siano l’occasione per “tirare il fiato”, concedersi anche qualche momento sereno, raccogliere le forze e prepararsi alle sfide del futuro.

Paola e Daniel

P.S.: se hai ancora voglia di storie natalizie, trovi tutte quelle degli anni scorsi qui.

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