Il 18 marzo 1944 i paracadutisti esploratori della Divisione corazzata Hermann Göring, con la collaborazione attiva dei fascisti, compiono la strage di Monchio, Susano e Costrignano. In queste tre frazioni di Montefiorino, oggi inserite nel Comune di Palagano, i soldati nazisti uccidono 136 civili, sfruttando le delazioni di spie appartenenti alla Repubblica sociale italiana. La montagna modenese è dunque sconvolta da un’azione armata che non trova eguali nelle vicende dei mesi precedenti. Per la prima volta le forze armate della Germania nazista e i collaborazionisti di Salò decidono infatti di aggredire una comunità di inermi sull’Appennino tosco-emiliano con una violenza così estesa. Perché i militari procedono in quel modo? E come reagiscono le comunità della montagna modenese? Per cercare risposte a queste domande, dobbiamo fare un passo indietro e ricostruire lo scenario che porta alla strage di Monchio, Susano e Costrignano.
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L’occupazione nazista, la Resistenza e le incertezze del primo inverno
In tutta l’Emilia gli ultimi mesi del 1943 sono particolarmente difficili per gli oppositori del nazismo e del fascismo. Qualcuno sostiene l’idea che si debba lottare contro i tedeschi, per farla finita anche con Mussolini. Altri, però, sono “pacifisti integrali” e ripudiano ogni tipo di guerra nel nome della fratellanza tra gli uomini. Entrambe le posizioni hanno in comune l’impossibilità di conciliarsi con i fascismi, ma arrivano a conclusioni talmente diverse da rendere pressoché impossibile una sintesi. Le forze occupanti sembrano dunque controllare la situazione senza affanni, mentre le comunità sperano che il conflitto non si abbatta con violenza su tutto il territorio.
A sbloccare lo stallo contribuiscono tuttavia i ripetuti bandi di reclutamento della Repubblica sociale italiana. Tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1944 i fascisti chiamano alle armi i giovani nati fra il 1923 e il primo semestre del 1926, ma mobilitano in vari modi anche altre classi di leva. Molti ragazzi non vogliono arruolarsi e chiedono aiuto ai principali punti di riferimento delle loro comunità: i militanti antifascisti e diversi parroci li incoraggiano a restare nascosti oppure a darsi alla macchia in luoghi poco battuti dalle forze occupanti.
La retorica dei fascisti è spesso fuorviante. Parecchi renitenti alla leva seguono il consiglio di nascondersi e scoprono di condividere la latitanza con altri giovani. Mentre affrontano i pericoli della clandestinità, recuperano alcune armi, abbandonate dai militari in fuga dopo l’8 settembre; cominciano così a formare piccoli gruppi con l’obiettivo di difendersi in maniera più efficace. A questi nuclei spontanei si aggiungono spesso uomini capaci di combattere e vecchi oppositori del fascismo, che spiegano ai ragazzi le ragioni della lotta. Le prime formazioni della Resistenza nascono tra queste incertezze e si sviluppano nelle zone meno controllate dai tedeschi o dai fascisti.
I nuclei partigiani nell’alta valle del Secchia
La zona del Monte Santa Giulia è fondamentale per gli sviluppi della Resistenza nell’Appennino modenese. Si trova infatti abbastanza vicino a Sassuolo, quindi a un’area di collegamento tra montagna e pianura, ma è piuttosto isolata, poiché non ha strade di grande importanza. Non a caso i primi partigiani sassolesi salgono da Prignano verso Santa Giulia già nella prima metà di novembre.
Nasce così una formazione, guidata da Giovanni Rossi e animata da Ottavio Tassi, nella quale si distinguono Giuseppe Barbolini, sua sorella Norma e il militare campano Ugo Stanzione. Lì il gruppo sassolese si organizza per vivere in clandestinità, mettendo in atto piccoli “colpi” contro i fascisti e cercando la collaborazione della popolazione civile. Nelle prime settimane del 1944, dopo la morte di Stanzione e l’uccisione di Rossi, Barbolini assume il comando della formazione.
Nel frattempo, in tanti borghi dell’Appennino, alcuni “leader naturali” radunano intorno a sé gruppetti di sbandati e renitenti alla leva. Questi nuclei vivono “alla macchia”, sfruttando la benevolenza delle comunità locali e cercando di evitare scontri con le forze di occupazione. Sono, tuttavia, determinati a difendersi con ogni mezzo dai rastrellamenti dei fascisti.
Così, tra la fine di dicembre del 1943 e l’inizio di marzo del 1944, i militari in perlustrazione subiscono diversi agguati dai partigiani della montagna. Le istituzioni della Repubblica sociale italiana sono determinate a punire ogni attacco con misure di rappresaglia dai connotati apertamente vendicativi, ma si sentono sempre più accerchiate. Decidono, dunque, di inasprire il livello della violenza, invocando l’aiuto dei nazisti.
Le operazioni militari della prima metà di marzo
All’inizio di marzo del 1944 il plenipotenziario del Reich nazista in Italia, il comando supremo della Wehrmacht e i vertici della Repubblica sociale italiana decidono di avviare un poderoso rastrellamento sull’Appennino tosco-emiliano per sgominare le formazioni della Resistenza. I partigiani sono ancora pochi, ma sfruttano le difficoltà organizzative dei fascisti per infliggere colpi che tolgono sicurezza anche ai tedeschi.
I gruppi partigiani attivi nell’alta valle del Secchia non si fanno sorprendere dai tentativi repressivi delle forze occupanti. Intuito il pericolo, si organizzano per bloccare le offensive e i rastrellamenti. Nelle ultime settimane d’inverno le principali operazioni di rastrellamento si concludono con rapporti allarmistici o bilanci negativi. Diversi presidi fascisti dell’Appennino subiscono inoltre attacchi che li inducono a ripiegare in luoghi più sicuri.
Fra il 15 e il 16 marzo le truppe tedesche della Feldgendarmerie, le riserve dello Jagdkommando (Luftwaffe) e i reparti fascisti subiscono diverse perdite, in particolare nel combattimento di Cerrè Sologno. Il commissario prefettizio di Montefiorino Francesco Bocchi chiede dunque l’intervento di un reparto corazzato nazista, poiché teme ormai il peggio. Allora Helmeth Dannehl, il tenente colonnello della Militärkommandantur di Bologna, convoca il Rittmeister Kurt Christian Von Loeben presso il comando di Porta Saragozza e gli ordina di effettuare un’operazione antipartigiana sulla montagna modenese.
La strage di Monchio, Susano e Costrignano
Il 17 marzo la 2^ e la 4^ compagnia della 1^ Divisione corazzata Hermann Göring, acquartierate in una villa alla periferia di Crespellano, partono per l’alta valle del Secchia. I reparti preparano la strage di Monchio, Susano e Costrignano nel corso della notte. Mentre la Feldgendarmerie sorveglia i confini dell’area di rastrellamento, Von Loeben fa collocare una batteria contraerea davanti alla rocca di Montefiorino. Poco prima dell’alba, inizia il cannoneggiamento di Monchio, Susano e Costrignano. Gli abitanti cercano di ripararsi tra i rifugi e le macchie boschive, ma gli esploratori della Hermann Göring sono pronti al rastrellamento.
Gli abitanti di Susano, Costrignano e Monchio vengono arrestati in maniera sistematica. Fatta eccezione per la Buca di Susano e per Vallimperchio, le donne e i bambini non vengono uccisi, ma sono comunque costretti ad assistere alle percosse e alle sevizie che i militari infliggono ai loro parenti. Gli uomini ricevono l’ordine di trasportare i loro averi nelle piazzette, dove i nazisti formano piccoli ammassi. Proprio in quei luoghi i soldati uccidono i civili in maniera sommaria, sparando colpi e raffiche di arma da fuoco.
Quando i militari non trovano alcun oggetto da razziare, uccidono gli uomini subito dopo la cattura. Alle operazioni partecipano anche due reparti fascisti, composti da una trentina di militi, che si distinguono per la volontà di compiere vendette personali. I repubblicani indicano le case dei sostenitori della Resistenza e segnalano gli individui sospetti. Alla fine della giornata, le devastazioni sono tremende: molte case, diverse stalle e non pochi fienili vengono dati alle fiamme.
Il bilancio della strage di Monchio, Susano e Costrignano
La strage di Monchio, Susano e Costrignano si conclude con un bilancio terribile: 136 morti e circa 150 case danneggiate o distrutte. Nelle giornate successive Kurt Christian Von Loeben annuncia di aver sterminato “circa trecento ribelli”, pronunciando così un’evidente menzogna. I fascisti non sono da meno: sia l’Agenzia Stefani sia la “Gazzetta dell’Emilia” giustificano le violenze nello spirito della repressione antipartigiana, negando le uccisioni indiscriminate di civili.
Purtroppo per le popolazioni dell’Appennino, però, le violenze non sono finite. Il 20 marzo un reparto di esploratori tedeschi al comando di Richard Heimann effettua un blitz a Cervarolo, frazione di Villa Minozzo (RE). Una spia sostiene infatti che in una casa colonica del luogo si nascondano molti partigiani. Nel tardo pomeriggio i soldati tedeschi fanno irruzione nell’aia dell’abitazione segnalata, arrestano venti ostaggi e li fucilano contro il muro esterno della cascina.
Il “Memorial” della strage sul Monte Santa Giulia
Negli anni Settanta la Provincia di Modena acquista una vasta area sul Monte Santa Giulia “per farne un luogo vivo di memoria” della strage di Monchio, Susano e Costrignano. Il Memorial Santa Giulia, con i suoi quattordici monoliti disposti a cerchio, è stato realizzato su impulso di Italo Bortolotti da artisti di sette nazionalità diverse, nell’ambito del Simposio di scultura su pietra di Fanano, ed è monito al dialogo, alla fratellanza, alla resistenza ai tentativi di oppressione”.
Il processo
Le indagini giudiziarie sulla strage di Monchio, Susano e Costrignano cominciano solo nel 2005. Il ritardo è dovuto al fatto che i documenti raccolti nel dopoguerra sono rimasti nascosti dal 1960 al 1994 nell’Armadio della Vergogna. Il 6 luglio 2011 il Tribunale Militare di Verona dichiara gli imputati Alfred Lühmann, Helmut Odenwald e Ferdinand Osterhaus responsabili di concorso nella strage e li condanna all’ergastolo. Odenwald e Osterhaus sono poi assolti in appello.
Per saperne di più
Per approfondire la storia raccontata in questo post, ma anche per capire meglio le stragi naziste e fasciste in Italia, consigliamo la lettura di alcuni libri, disponibili per l’acquisto online:
- Anche i partigiani, però…, di Chiara Colombini;
- Zone di guerra, geografie di sangue. L’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (1943-1945), a cura di Gianluca Fulvetti e Paolo Pezzino;
- I crimini di guerra tedeschi in Italia (1943-1945), di Carlo Gentile;
- Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, di Claudio Pavone;
- Storia della Repubblica Sociale Italiana 1943-1945, di Mimmo Franzinelli;
- Storia della Resistenza, di Mimmo Franzinelli e Marcello Flores.
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22 Marzo 2020 alle 10:40
Grazie per il racconto di Monchio – Costrignano le ferite sono ancora profonde tra le genti di questi luoghi
22 Marzo 2020 alle 11:18
Grazie per l’apprezzamento. So che quei fatti hanno lasciato dolori ancora vivi nella memoria collettiva. Anche per questo, secondo me, è importante cercare di comprenderli, osservandoli da un punto di vista storico.
22 Marzo 2021 alle 17:44
grazie ..leggo sempre volentieri..
22 Marzo 2021 alle 17:53
Grazie, Magda, per il tuo apprezzamento!
23 Marzo 2021 alle 15:59
Buonasera,toccante la ricostruzione dei fatti della Strage;di recente al TG Regione ho capito perche’ il Prof di Storia Alberghi delle scuole medie,autore di “Attila sull’appennino”,volle essere sepolto a Cervarolo,diversi sulla lapide portano quel cognome.
23 Marzo 2021 alle 16:53
Grazie, Dino, per l’apprezzamento. Sì, il professor Alberghi era molto legato a quei luoghi per ragioni familiari e ha deciso di renderli anche oggetto del suo impegno intellettuale. Anche la figlia, Donatella Alberghi, ha scritto una pubblicazione sulla strage di Cervarolo: “Una strage dimenticata. Cervarolo 20 marzo 1944”.