Fare racconti partigiani per le strade di Maranello proprio oggi… ma cosa ci è venuto in mente? Proprio oggi che a Maranello la Ferrari festeggia i suoi primi 70 anni, sfilano decine di vetture e la città è più che mai affollata di turisti e appassionati? Ma oggi, che è il 9 settembre, è anche il giorno in cui, 74 anni fa, fu ucciso l’antifascista Demos Malavasi, proprio qui a Maranello, nelle ex scuole di via Vittorio Veneto. Sì, bisogna farli proprio oggi i nostri Passi di Resistenza!
Montiamo il gazebo dell’Anpi di Maranello, con cui abbiamo lavorato per realizzare l’iniziativa con il patrocinio del Comune di Maranello… ed è come dare un segnale: ecco che ci raggiungono alcuni dei protagonisti dei nostri racconti partigiani di oggi, Mario Corradini, nome di battaglia “Fritz”, e Dante Corti “Notte”. Hanno 89 e 90 anni e avranno il compito di chiudere l’evento con le loro testimonianze. Ma se qualcuno di noi ha potuto pensare che ci avrebbero atteso in piazza a fine giro si è sbagliato di grosso. Sono determinati più che mai e cammineranno con noi dall’inizio alla fine.
Pronti per partire…
Pochi minuti e arriva anche il nostro pubblico: donne, uomini, giovani, giovanissimi e meno giovani. Un pubblico vario, per un evento che abbiamo cercato di costruire in modo che fosse alla portata, coinvolgente e interessante per tutti. Riconosciamo qualche volto, ma non la gran parte e questo ci fa felici. È bello avere un pubblico che ti segue, evento dopo evento, ma vedere occhi nuovi e curiosi ci fa ancora più piacere.
Ci contiamo: siamo più di trenta e non pensavamo saremmo stati così tanti! Ad alcune nostre iniziative sono venute anche più persone, ma questa è la prima a Maranello, qui non ci conosce nessuno e, a dire il vero, è il numero di partecipanti ideale per questo tipo di iniziativa… allora, via, si comincia!
Tocca a Maria Grazia Mandreoli, del direttivo dell’Anpi di Maranello, fare gli onori di casa. Poi la parola passa al sindaco, Massimiliano Morini, che è contento di un’iniziativa che permette di conoscere la storia più vicina a noi. In particolare, quella che racconteremo, e che prende le mosse dal Ventennio fascista, può aiutarci a orientarci meglio nel nostro presente.
Fascismi di ieri… e di oggi
I nostri primi Passi di Resistenza non sono “racconti partigiani”. Per capire che cos’è stata la lotta di Liberazione, bisogna mettersi alla ricerca delle sue radici. Un trekking di Public History deve avvicinare la complessità della storia ai cittadini del 2017, che assistono alla riscossa del neofascismo. La strada per la comprensione passa dal ritorno al momento in cui tutto è aperto. Come mai all’inizio degli anni Venti lo squadrismo fascista, da movimento ibrido e anti-borghese, è diventato il braccio armato degli agrari e degli imprenditori?
La domanda innesca un processo che insegna a leggere il nostro presente. Nella crisi del primo dopoguerra tanti cercano un capro espiatorio: perché non additare i “disfattisti”? E per quale motivo, nella loro schiera, non isolare proprio i socialisti? La loro idea di rivoluzione non è compatibile con le trombe del nazionalismo e con gli interessi dei “padroni”. Neanche i “penultimi” li amano, perché temono di scivolare al livello degli ultimi. Eccolo lì, il nemico perfetto. Quasi come accade oggi, sulle arene virtuali dei social e nelle piazze dell’estrema destra.
La società e le istituzioni lasciano sempre più spazio al fascismo: chi meglio delle camicie nere può risolvere i problemi degli italiani? Nel 1922 le classi dirigenti credono di controllare Mussolini e le sue bande a proprio piacimento. S’illudono: l’uomo di Predappio prende il potere e si consolida. Eccolo lì, il Duce, pronto a costruire “l’Uomo Nuovo”, a esaltare la “razza italica”, a forgiare la “nazione guerriera”. E a trascinarla verso le bombe e la fame. Come rialzarsi da quello sfacelo? Serve un sussulto quotidiano. C’è bisogno di quella forza disperata che emerge negli occhi dei testimoni, nei loro “racconti partigiani”.
Come trovare la forza dei racconti partigiani?
Ma come si può trovarla, quella forza disperata dei racconti partigiani, all’indomani dell’8 settembre 1943? Il Regio Esercito è senza ordini, i nazisti occupano l’Italia e i civili non sanno che fare. Quando nasce la Repubblica sociale italiana, una generazione di soldati sta per diventare “clandestina a casa propria”. O combatti dalla parte di Hitler e Mussolini – mettendoti contro l’unica Italia riconosciuta dal mondo “non fascista” – o lotti per liberarti dalla svastica e dal littorio, che detengono il potere grazie alle armi. Non hai scelta, devi scegliere.
Che fare? Dove andare? Storie come quella di Demos Malavasi diventano punti di riferimento per quei pochi che già sanno come si combatte e perché si deve lottare contro i fascismi. Demos ha conosciuto la clandestinità dell’organizzazione comunista, gli arresti, la galera e Ventotene, ma non ha mai dimenticato la lezione di suo padre. Non si è mai piegato ai fascisti, anzi. In carcere ha letto libri e ascoltato racconti, si è formato come uomo e ha imparato a sognare più forte.
Alle ex scuole di via Vittorio Veneto
Nell’agosto del 1943 Demos non fa in tempo a tornare libero che viene già chiamato alle armi. Finisce a Maranello, insieme a Mario Ricci. L’armistizio dell’8 settembre li coglie nelle ex scuole di viale Vittorio Veneto. Nella notte successiva i tedeschi fanno irruzione nell’edificio: una pallottola raggiunge Demos al volto. Il suo antifascismo non riesce a diventare Resistenza. Sopravvivono i suoi insegnamenti, che animeranno la lotta del comandante Ilio Barontini e le azioni di tanti partigiani emiliani.
Invece Mario Ricci, il futuro Armando, riesce a fuggire. Come lui tanti altri sbandatisi dopo l’8 settembre. La loro fuga è protetta in modo spontaneo dalla popolazione – e dalle donne in particolare – che in quei giorni confusi e concitati aprono porte, offrono abiti, nascondono, accompagnano. Sono le prime, spontanee, iniziative di Resistenza civile, che poi per qualcuno diventeranno più organizzate e consapevoli.
La Storia le ha a lungo ignorate, preferendo celebrare i fatti d’armi e le azioni maschili. Le donne stesse per molto tempo non hanno raccontato l’aiuto offerto in quei mesi, considerandolo scontato o meno importante. Non ci sono nemmeno molti documenti scritti che raccontano queste vicende. Per ricostruirle bisogna interpretare testimonianze come questa di Armando, che in quei primi giorni troverà aiuto e sostegno grazie a donne e famiglie del paese. O come quella di donne di Maranello come Oneglia, la cui famiglia – 8 figli e un padre ammalato – ha a lungo diviso il poco che aveva con un soldato toscano in attesa di un contatto per unirsi ai partigiani.
Non c’è eroismo in queste storie. C’è, invece, qualcosa di più vicino a noi, qualcosa più alla portata di tutti e al tempo stesso non meno fondamentale. Lo dirà anche Dante, a fine passeggiata, ringraziando le donne a cui deve la vita.
Dopo la commemorazione e le narrazioni previste per questa tappa, approfittiamo della collaborazione del Comune di Maranello che apre per noi gli uffici comunali, che oggi occupano le ex scuole di via Vittorio Veneto: qui la storia ha lasciato i suoi segni sulla ringhiera delle scale che portano al primo piano. Sono i segni dei colpi sparati quella notte, ancora ben visibili 74 anni dopo. Hanno deformato il ferro: riusciamo a immaginare cosa poteva significare sentire quei proiettili fendere l’aria vicino a noi, ricevere quei colpi nella carne? Fa paura, fa male. Ancora oggi.
Guardano stupiti i bambini, ma anche gli adulti, cittadini di Maranello che in questo edificio hanno fatto le scuole tempo dopo questi fatti. E scoprono ora di avere avuto sotto gli occhi la loro storia. Ma senza la memoria, senza la ricostruzione storica tutto rischia di perdersi.
Enzo Ferrari e la Resistenza
La quarta tappa della nostra camminata è dedicata a Enzo Ferrari. Qualcuno, prima di partire, ci ha chiesto “Perché? Anche lui…” Abbiamo rimandato la risposta, perché la questione è complessa e ci vuole tempo per spiegarla. Alla tappa presso il monumento che ricorda il commendatore, in piazza Libertà, arriviamo carichi delle narrazioni sul Ventennio e sull’8 settembre e allora è più facile provare a calarsi in quegli anni, per capire quale potesse essere la posizione di un imprenditore dell’epoca. Enzo Ferrari fu amico o nemico della Resistenza? Gli industriali di quel tempo si trovano tra due fuochi: senza relazionarsi coi tedeschi non possono continuare a lavorare, ma ad un certo punto non possono nemmeno ignorare le forze della Resistenza. Forse allora si trattò di stare in equilibrio?
Nelle iniziative che organizziamo, però, non ci interessa solo rispondere a questo tipo di domande. Ci interessa anche imparare qualcosa che può aiutarci a provare a capire il nostro presente. In questo caso, le polemiche nate nel 2000 in seguito alla pubblicazione di una testimonianza, una sola e non documentata, a fronte di ricostruzioni storiche basate su testimonianze documentate, ci servono per parlare di questioni metodologiche: di storia e memoria, prima di tutto, e poi di critica delle fonti. Della necessità, cioè, di imparare dagli storici a cercare la “verità” confrontando sempre più fonti, di provenienza diversa, chiedendosi anche che motivazioni e che contesti stanno dietro le testimonianze o i documenti. Questo atteggiamento critico dovrebbe magari essere anche l’atteggiamento di tutti noi quando guardiamo al nostro presente, leggendo i giornali, guardando la televisione o leggendo un post su Facebook…
Il viaggio prosegue: mentre cerchiamo i segni della Resistenza sulla Maranello del 2017, i partecipanti si aprono alla curiosità. Camminando fianco a fianco è più facile vincere la timidezza o la paura di fare una figuraccia. Arrivano domande sui rapporti tra i partigiani e gli Alleati, sui libri di riferimento per capire la guerra in Italia e a Modena.
Storia e memoria
Quando il cammino nella storia finisce, comincia il viaggio nella memoria. Dante e Mario ci hanno ascoltato, accompagnato e sorriso in tutte le tappe. Ora tornano con la mente a quando erano “Notte” e “Fritz”, ai giorni della lotta. Gli occhi si accendono e il tempo si ferma: “oh, ti ricordi la Befana del Quarantacinque? A Santa Giulia, c’era un metro e venti di neve!” Racconti di missioni tra i boschi, giorni e notti di viaggio, spensieratezze giovanili adombrate dal peso di una guerra totale. “L’importante è che voi non torniate a mettervi nella situazione che abbiamo vissuto noi”. Il presente incombe sempre, anche su ricordi filtrati attraverso una militanza lunga più di settant’anni.
È la forza della memoria, che abbatte le gabbie del tempo con l’energia del vissuto individuale. Nessuno potrà mai eguagliare la forza emotiva e narrativa di una testimonianza diretta. Anche lo storico, quando la ascolta, deve fermarsi a raccoglierla, perché ogni racconto in prima persona è un documento unico e irripetibile. Per questa possibilità dobbiamo ringraziare il presidente Giordano Zini e tutti i volontari dell’Anpi di Maranello.
Gli scettici potrebbero obiettare che la memoria personale non è infallibile, e hanno senz’altro ragione. Per la verifica e la ricostruzione dei fatti non bisogna rivolgersi a chi li ha vissuti, bensì a coloro che li studiano. È proprio questo il compito degli storici: recuperare tutte le fonti di vissuti e informazioni per restituirle al pubblico “digerite” e interpretate. Quando i Passi di Resistenza diventano un’occasione per raccogliere racconti partigiani, la gente assiste al processo di costruzione della storia. Sta proprio lì l’essenza della Public History.
Per essere sempre aggiornati sulle nostre iniziative, basta iscriversi alla nostra newsletter!
Lascia un commento