Il 1° gennaio 1944 le forze armate della Repubblica sociale italiana eseguono la prima sentenza di condanna a morte nel territorio urbano di Modena. I militi fascisti fucilano due giovani renitenti alla leva, Ultimo Martelli e Giancarlo Tincani, al poligono di tiro del quartiere Sacca. La raffica esplode nel silenzio di un’alba d’inverno, inasprendo una guerra civile innescata subito dopo l’occupazione nazista dell’Italia centro-settentrionale.

I renitenti alla leva e i primi nuclei della Resistenza

Il 9 novembre 1943 il maresciallo Rodolfo Graziani pubblica il primo bando di reclutamento della Repubblica sociale italiana, lo Stato fascista istituito per collaborare con la Germania dopo l’armistizio dell’8 settembre. Tutti i giovani nati tra il 1923 e il 1925 sono chiamati alle armi, ma molti di loro non ne vogliono sapere. Chi non vuole arruolarsi cerca di nascondersi. Per i ragazzi dell’Appennino è più facile darsi alla macchia: così, tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno, in molti borghi si formano gruppi di renitenti alla leva.

Passano le settimane e alcuni oppositori del regime cercano di avvicinare i gruppi che si ribellano al reclutamento fascista. Nel frattempo, trovandosi in clandestinità, i renitenti che sanno combattere prendono le armi raccolte dopo lo sbandamento del Regio esercito per difendersi dalle ricerche delle autorità militari e dei fascisti. Nascono così alcuni nuclei partigiani, fortemente legati ai luoghi d’origine dei loro componenti. Altre formazioni della Resistenza raggiungono l’Appennino partendo dalla fascia pedemontana: è il caso dei primi partigiani sassolesi, partiti il 7 novembre e costretti a spostarsi più volte nei primi mesi di lotta.

Contrastare i rastrellamenti

La Repubblica sociale italiana non tollera il rifiuto della chiamata alle armi: i fascisti, infatti, considerano i renitenti alla leva come traditori. Nel mese di dicembre, tuttavia, i pessimi risultati del reclutamento inducono le autorità ad attivarsi per mettere pressione sui giovani. Ai carabinieri e alla neonata Guardia nazionale repubblicana viene assegnato il compito di “convincere” i “ribelli” a rispondere alla chiamata alle armi della RSI.

Quando i militari perlustrano il territorio, le prime bande della Resistenza li respingono con decisione. Allora i fascisti organizzano rastrellamenti più intensi, cercando i renitenti nelle case e nei borghi. Il 23 dicembre, durante una di queste operazioni, i partigiani aprono il fuoco contro chi sta cercando di catturarli. I colpi uccidono il carabiniere Lino Pifferi e feriscono il brigadiere Carlo Piccinelli, che si sono sganciati dal gruppo per arrestare il renitente Rino Madrigali.

La morte di Pifferi convince le autorità fasciste a realizzare un nuovo rastrellamento. Così, il 24 dicembre, i militi arrestano Giancarlo Tincani, nato a Gusciola di Montefiorino il 24 marzo 1924, e lo portano nelle carceri di Modena.

Tuttavia, i fascisti non si accontentano, perché sanno che i renitenti alla leva sono molti. Il 27 dicembre ricominciano le perlustrazioni e il gruppo partigiano di Teofilo Fontana si trova in difficoltà. Dai nascondigli i “ribelli” ingaggiano uno scontro a fuoco con due carabinieri per evitare che alcuni renitenti vengano catturati. L’appuntato Lazzaro Pari viene colpito a morte, mentre il carabiniere Enrico Ursic risulta ferito lievemente.

I fascisti reagiscono con un nuovo rastrellamento e arrestano Ultimo Martelli, nato a Gusciola di Montefiorino il 9 agosto 1923. Anche lui finisce in carcere insieme al compaesano Giancarlo Tincani. Entrambi sono accusati di non avere risposto alla chiamata militare.

La condanna a morte di Martelli e Tincani

Il 31 dicembre a Modena si riunisce il Tribunale Straordinario di Guerra del 42° Comando Provinciale della RSI. Non è un organo della giustizia ordinaria, ma una struttura inserita negli ambienti militari. Il presidente non è preoccupato di applicare il diritto, ma di imporre la disciplina militare a una popolazione recalcitrante. Così, il Tribunale procede con un giudizio sommario, dichiarando Martelli e Tincani colpevoli dell’uccisione dei carabinieri.

La sentenza di condanna impone la pena di morte. All’alba del 1° gennaio 1944, Giancarlo Tincani e Ultimo Martelli vengono fucilati al Poligono di Tiro della Sacca. Sono le prime vittime dei plotoni d’esecuzione fascisti a Modena.

Il 30 novembre 1944 una sentenza del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato sconfessa il verdetto del Tribunale Straordinario di Guerra del 42° Comando Provinciale della RSI e stabilisce che le uccisioni di Lino Pifferi e Lazzaro Pari sono state effettuate da ignoti.

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