Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria. In Italia la ricorrenza è stata istituita nel 2000 «in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti». Anche nel 2022, il Comune di Marano sul Panaro e la locale sezione dell’ANPI hanno raccolto l’invito a riflettere sulle vicende che hanno portato a trasformare il “diverso” in un nemico. È nata così l’idea dell’evento Giorno della Memoria: se non ora quando? Intervista con lo storico. Sarà trasmesso giovedì 27 gennaio 2022 alle ore 19 in diretta streaming sulla pagina Facebook del Comune di Marano sul Panaro.
Nel corso della diretta, Daniel Degli Esposti risponderà alle domande del comitato #MaranoResiste e di alcuni rappresentanti delle istituzioni locali. Sarà un’occasione per raccontare vicende storiche accadute nel territorio maranese e legate al Giorno della Memoria, ma anche per riscoprire il senso di celebrare ancora oggi il 27 gennaio. Non mancheranno neppure le emozioni della musica, che da anni accompagna i racconti e le riflessioni sull’universo concentrazionario.
Aspettando il Giorno della Memoria, ecco una breve anteprima sulla data della celebrazione.
27 gennaio 1945: che cosa accadde?
Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa entra nel lager di Auschwitz, già abbandonato dai nazisti. Non sembra un momento decisivo per la Seconda guerra mondiale: la Germania ripiega verso ovest, ma non è disposta ad arrendersi. Neppure l’URSS può accontentarsi di aver liberato quel grande campo, perché l’obiettivo di Stalin è raggiungere Berlino prima che ci arrivino le forze alleate. Non è dunque uno di quegli eventi che sembrano fin da subito destinati a finire nei libri di storia. Eppure, un uomo annota nella mente i passaggi di quel giorno d’inverno, il primo di una nuova fase della sua ancor giovane esistenza. Ci vorranno quasi vent’anni perché quei pensieri trovino spazio nelle pagine di un’opera letteraria.
La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla: stavamo trasportando alla fossa comune il corpo di Somogyi, il primo dei morti fra i nostri compagni di camera. Rovesciammo la barella sulla neve corrotta, ché la fossa era ormai piena, ed altra sepoltura non si dava: Charles si tolse il berretto, a salutare i vivi e i morti. Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi.
(Primo Levi, La tregua, 1963)
Auschwitz e la memoria
Quando arrivano i sovietici, Auschwitz non è ancora “Auschwitz”, ovvero quello che per noi è il campo-simbolo della memoria della Shoah. Ci sarebbe voluto parecchio tempo perché l’immagine dell’universo concentrazionario finisse per condensarsi nella scritta Arbeit macht frei. Per anni, i luoghi emblematici della deportazione sarebbero stati Dachau e Mauthausen, dove erano stati rinchiusi i prigionieri politici.
Solo negli ultimi decenni del Novecento, con il nuovo interesse per la Shoah, Auschwitz si è affermato come come il lager per antonomasia. Questa tendenza si è consolidata anche dopo il 2005, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 27 gennaio “Giornata internazionale di commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto”.
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