Ci sono storie di vita e di lavoro che parlano di un’epoca: immigrazione, discriminazioni di genere, povertà, diritti negati… Per il Primo Maggio 2020 abbiamo realizzato un videoracconto storico, Il segreto dello sciopero, che ci immerge nella realtà di Sassuolo dal Biennio rosso (1919-20), passando per la storia dello sciopero “da 4 soldi” (1941), fino alla rinascita del secondo dopoguerra (1945). Fu un periodo difficile per le classi lavoratrici, che però proprio in quegli anni ebbero l’occasione di sviluppare nuove consapevolezze sulla necessità di lottare per i propri diritti. Quelle esperienze furono poi messe a frutto nelle mobilitazioni del secondo dopoguerra, che portarono nel 1970 alla conquista dello Statuto dei lavoratori.

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Il video è promosso da CGIL Modena, CISL Modena, UIL Modena, dal Circolo Arci Alete Pagliani, dal Circolo Arci  1° maggio, dall’associazione Terra, pace e libertà e dal Comune di Sassuolo, nell’ambito di Sassuolo città attiva.

Di seguito alcuni approfondimenti sulla storia dello sciopero in generale e sul caso sassolese in particolare.

Storia dello sciopero nel Biennio Rosso

La fine della Prima guerra mondiale non spegne le tensioni presenti nell’Europa del 1918. Anche in Italia lo scenario sociale è rovente: quando i soldati rientrano dai fronti, sognano di ottenere la terra e il lavoro. Per molti di loro si delinea invece un futuro di povertà e disoccupazione. Tra gli “ultimi” si diffondono dunque la rabbia e la voglia di cambiare radicalmente i rapporti di potere.

Storia dello sciopero. 1920: lavoratori in sciopero occupano una fabbrica. Foto via Wikimedia Commons

1920: lavoratori in sciopero occupano una fabbrica. Foto via Wikimedia Commons

I problemi del dopoguerra avvantaggiano il Partito socialista e le organizzazioni dei lavoratori, che si mobilitano per ottenere nuovi diritti e migliori condizioni di vita. Nel 1919 arrivano i primi risultati: la Federazione italiana operai metallurgici ottiene che la giornata di lavoro negli stabilimenti automobilistici torinesi duri 8 ore. Nascono inoltre le commissioni interne, organi di rappresentanza che garantiscono ai lavoratori la possibilità di incidere sull’organizzazione del sistema di fabbrica.

Inizia così il Biennio Rosso, un periodo favorevole al Partito socialista, alle organizzazioni sindacali e ai lavoratori. Le Sinistre non riescono però a restare unite. Mentre la Confederazione generale del lavoro e i riformisti vorrebbero un cambiamento graduale, i massimalisti puntano a rovesciare completamente i rapporti di forza con un’azione dal basso. Tra i braccianti più poveri si diffondono inoltre le idee degli anarchici e dei sindacalisti rivoluzionari, che concepiscono lo sciopero generale come un attacco diretto al potere dello Stato.

Il fascismo e lo sciopero

Nel Biennio Rosso i proprietari terrieri e gli industriali temono che l’ascesa dei socialisti metta in discussione la loro posizione privilegiata. Per difendersi, cavalcano dunque l’identità nazionale e le paure di chi si sente impoverito dalla crisi del dopoguerra. Tra la seconda metà del 1920 e l’inizio del 1921, parecchi agrari e imprenditori dell’area padana finanziano le squadre d’azione del nascente fascismo per contrastare con la violenza gli scioperi e le mobilitazioni dei lavoratori.

Storia dello sciopero. Biennio Nero: i fascisti devastano una sede della Confederazione generale del lavoro a Roma. Foto via Wikimedia Commons

Biennio Nero: i fascisti devastano una sede della Confederazione generale del lavoro a Roma. Foto via Wikimedia Commons

Inizia così il “Biennio Nero”, un periodo caratterizzato dalle aggressioni fasciste nelle Case del Popolo, nelle Cooperative e nelle Camere del Lavoro. Tra il 1921 e il 1922 le violenze degli squadristi trovano spesso la compiacenza delle istituzioni e dei responsabili dell’ordine pubblico, felici di vedere soffocate le manifestazioni di protesta.

Dopo la Marcia su Roma e l’ascesa del regime fascista, i sindacati non riescono più a difendere i diritti dei lavoratori. Sulla carta la dittatura promuove la collaborazione fra le classi nel sistema corporativo, ma in realtà favorisce gli imprenditori. I lavoratori sono di fatto obbligati ad accettare le loro condizioni. Tra il 1925 e il 1926 la dittatura impedisce l’esistenza di sindacati non fascisti, imponendo alle categorie dei lavoratori a sottoscrivere contratti validi per tutti. La legge vieta inoltre gli scioperi e le serrate.

Storia dello sciopero “da quattro soldi”

Anche in Emilia è un periodo duro per tutti i lavoratori e lo è ancora di più per le donne. Sono tante le operaie nelle ceramiche di Sassuolo, ma le condizioni di lavoro sono davvero difficili. La fabbrica garantisce più continuità di lavoro rispetto ai campi o alla risaia e cerca le donne, che costituiscono una manodopera più a buon mercato. Nel 1927 un decreto del Governo riduce infatti gli stipendi delle donne alla metà di quelli degli uomini.

È la miseria che costringe le donne ad accettare paghe così basse, così come le molestie e i maltrattamenti. Ribellarsi non è semplice, perché si rischia di perdere il lavoro o di prendere la multa. Faticano a farsi strada nelle donne la consapevolezza e il coraggio che servono per reagire insieme, con la forza del gruppo, ma qualcuna proprio non ce la farà a stare sempre zitta. È il caso di Norma, una delle protagoniste delle storie narrate nel videoracconto, a (ri)scoprire, nel febbraio del 1941, il “segreto dello sciopero” e a ottenere che venga tirata via la multa di 4 soldi a una compagna di lavoro.

Tra il 1940 e il 1942 a Sassuolo si susseguono gli scioperi e le proteste femminili: come nel resto d’Italia le donne prendono sulle loro spalle tutta la responsabilità della famiglia e del sostentamento economico. Di lì a non molto tante di loro faranno altri importanti passi per un futuro fatto di libertà, diritti, emancipazione. Quei passi li farà Norma, come li farà Maria, figlia di una donna disoccupata, costretta a chiedere l’elemosina e a vivere in una “baracca”. Maria è un’altra delle nostre protagoniste: la sua storia ci apre lo sguardo sulla realtà di chi un lavoro neppure ce l’ha. A volte, come dice Norma, “quando credi di avere trovato la chiave giusta, cambiano la serratura”, ma le difficoltà affrontate in quegli anni non impedirono a lavoratrici e lavoratori di trovare nuovi modi di lottare per i propri diritti.

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