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La storia di Gino Bartali, campione del ciclismo e “giusto tra le nazioni”, ha riacceso i riflettori sui legami tra lo sport e le vicende della Seconda guerra mondiale. Questi fatti affascinano un pubblico piuttosto vasto, ma gli studiosi li hanno trascurati a lungo. Solo da qualche anno comincia a crescere l’interesse per l’impatto che le discipline atletiche e i giochi di squadra hanno avuto sulla società di massa. Se il tema ti stuzzica, qui puoi trovare qualcosa che fa per te! In questo post racconterò invece una storia che intreccia sport e Resistenza, quella dei fratelli Irnerio e Idro Cervellati.
La narrazione è una sintesi tratta dal lavoro di ricostruzione storica che ho svolto fra il 2016 e il 2017 per il Comune di Valsamoggia e per le sezioni ANPI della valle del Samoggia. La versione completa è pubblicata nel libro Radici di futuro.
La famiglia Cervellati: sport e Resistenza a Calcara
Nell’agosto del 1944 le campagne di Calcara sono in fermento. L’avanzata degli Alleati incoraggia i partigiani, che sperano di evitare il secondo inverno dell’occupazione nazista. La Resistenza prepara l’insurrezione generale per la liberazione di Bologna. Le formazioni della montagna e della collina cominciarono a spostarsi verso la pianura. Le staffette attraversano il territorio per portare informazioni e rifornimenti ai combattenti, aiutandoli anche a spostarsi in clandestinità.
Le cose si complicano tra settembre e ottobre. Le piogge costringono i partigiani a trascorrere più tempo del previsto in un ambiente per molti ignoto. Come possono centinaia di giovani resistenti trovare cibo in un’area tutt’altro che priva di nazisti e fascisti? Nessuno di loro dovrebbe uscire troppo allo scoperto, poiché la lotta di liberazione impone ai combattenti di ridurre al minimo i rischi. Eppure, per trovare cibo, i partigiani sono costretti a entrare in contatto con le popolazioni. Nella valle del Samoggia diverse famiglie sostengono chi sceglie di lottare contro i fascismi, correndo rischi notevoli. Tra queste spiccano i Cervellati di Calcara.
La famiglia Cervellati vive nelle campagne di Calcara e coltiva un podere che garantisce a tutti il minimo per sopravvivere. Dopo l’8 settembre 1943, quando la guerra totale irrompe anche nella valle del Samoggia, papà Carlo decide di dare una mano a chi ha bisogno. Ha il sostegno della moglie Clementina Ruggeri e dei due figli, il ventiseienne Irnerio e il ventunenne Idro. Anche i due ragazzi lavorano nei campi, ma sognano di sporcarsi il viso con un’altra polvere, quella delle strade bianche.
Irnerio e Idro: contadini e ciclisti
Quando papà Carlo chiede di fare qualche consegna, Irnerio e Idro sono felicissimi, poiché possono inforcare la bicicletta. Per loro la pianura di Calcara è uno spazio da percorrere quasi tutti i giorni, pedalando con la forza di chi ha sempre lavorato nei campi. Quando si mette in sella, Irnerio è un portento. Non può abbandonare le fatiche agricole, altrimenti la famiglia non va avanti, ma va talmente forte che qualcuno lo convince a fare sul serio. Tra la fine degli anni Trenta e l’inizio dei Quaranta partecipa ad alcune gare ciclistiche. Anche in corsa pedala con grande facilità e ha l’atteggiamento propositivo di un ragazzo che si diverte.
Quando supera i vent’anni, anche Idro comincia a mettersi in mostra. I fratelli promettono molto bene, ma l’occupazione nazista cancella quasi tutti i piani degli organizzatori sportivi. Come si possono organizzare corse, se le città sono sempre più piene di reparti militari? E perché mai gareggiare per il solo divertimento, quando le calorie a disposizione degli atleti sono così poche? Irnerio e Idro non pensano più alle competizioni, ma nell’estate del 1944 capiscono che non possono più limitarsi a coltivare il loro campo. Entrano in contatto con i partigiani della Settima GAP, che propongono loro di trasformare la cascina di famiglia in una base della Resistenza. Il padre Carlo acconsente.
Nel nostro campo, in una zona lontana dalla casa e coltivata a frumentone, i partigiani fecero una capanna con dei “malgari” (gambo di granoturco); era abbastanza mascherata e nascosta. Là loro sostavano, pernottavano, ci stavano poco o molto a seconda delle azioni che dovevano fare. Una notte portarono a casa nostra un partigiano ferito. Durante il periodo che avemmo il ferito in casa, io e la mamma ci davamo da fare per fargli da mangiare bene.
(Dalla testimonianza di Stella Cervellati, 2009)
Queste parole ci ricordano che nei momenti più critici, l’impegno delle donne è decisivo per lo sviluppo della Resistenza. Le staffette portano messaggi, ordini, rifornimenti e armi ai combattenti, mentre le donne più anziane preparano nascondigli e pasti caldi per i “ribelli”.
Il rastrellamento del 5 dicembre 1944
Nel corso dell’autunno 1944 l’insurrezione generale sfuma. Il 7 novembre, a Porta Lame, i partigiani bolognesi infliggono una sconfitta alle forze naziste e fasciste. Tuttavia la Resistenza non ha forze sufficienti per occupare stabilmente una città. Gli Alleati si concentrano con maggiore attenzione sul fronte francese e non riescono a sfondare la Linea Gotica prima dell’inverno. La lotta di liberazione deve rivedere i piani, poiché non è più possibile sferrare l’attacco decisivo.
Alla fine di novembre parecchi partigiani sono ancora nelle varie zone della pianura. Cercano di sopravvivere, stabilendo relazioni quanto più amichevoli possibile con le comunità e attendendo tempi migliori. I più esperti continuano ad adottare cautele molto rigide, ma nella Resistenza sono entrati anche ragazzi impreparati a un lungo periodo di clandestinità. Tra il 5 e il 12 dicembre i nazisti e i fascisti cominciano a rastrellare i territori di Amola, Anzola Emilia, Ponte Samoggia e Calcara. Molti giovani vengono sorpresi nei loro nascondigli.
La nostra famiglia, il 5 dicembre 1944 non fu toccata dal rastrellamento a tappeto che fecero ad Anzola dell’Emilia. Tutti in famiglia credevano che fosse cominciato e finito il 5 dicembre. Invece da noi arrivarono all’alba del 12 dicembre. Erano circa le quattro del mattino ed eravamo tutti a letto. Circondarono la casa e la stalla. Dappertutto c’erano repubblichini e SS; erano in assetto da guerra. Ci fecero alzare e noi ci vestimmo mentre loro spianavano i fucili contro ognuno di noi. Portarono via papà, Irnerio e Idro. A casa rimanemmo io e la mamma. Non contenti i repubblichini ci vuotarono la stalla e ci portarono via tutto. Noi trovammo ospitalità da uno zio.
(Dalla testimonianza di Stella Cervellati, 2009)
Il destino dei Cervellati
Dopo alcune tappe nelle sedi dei comandi tedeschi, Carlo, Irnerio e Idro Cervellati vengono condotti nel carcere di San Giovanni in Monte. Nelle celle bolognesi conoscono gli ostaggi rastrellati pochi giorni prima ad Anzola e ad Amola. Fra il 13 e il 14 dicembre i gappisti più noti sono portati a Sabbiuno di Paderno e fucilati sul ciglio del calanco. Molti degli altri ostaggi sono invece destinati alla deportazione nel territorio del Reich.
Nella pre-vigilia di Natale, il 23 dicembre, viaggio in camion fino a Bolzano, proseguito in ferrovia stipati in vagone bestiame, giorni e giorni senza cibo e acqua, destinazione Mauthausen. Li ammonì duramente all’arrivo il kapò: «Nessuno si illuda, qui si esce solo dalla canna del camino». I Cervellati e Serafino Gasiani furono destinati al vicino sottocampo di Gusen, a forgiare pezzi speciali per aerei a reazione, senza limiti di orari, in ambiente malsano, alimentazio-ne pressoché nulla. Non migliore la condizione dei deportati all’aria aperta: costretti a trasportare a spalla massi di gra-nito nel via-vai incessante lungo la interminabile “scala della morte”, pungolati dagli scudisci dei guardiani.
(Dalle memorie di Arnaldo Ballotta, 2014)
Le fatiche del campo sono insostenibili anche per due giovani ciclisti-contadini. Irnerio muore il 2 aprile 1945 nel sotto-campo di Gusen, mentre Idro si spegne diciassette giorni dopo nella struttura centrale di Mauthausen. Neppure il padre Carlo riesce a tornare dal lager: gli stenti della prigionia lo uccidono in una data non meglio precisata. Anche Serafino Gasiani, sfiancato dai turni massacranti, muore pochi giorni dopo la liberazione del campo. Il suo destino resta impresso nel cuore del fratello Armando, che per decenni non racconta nulla dell’esperienza vissuta all’interno del lager. Solo la visione del film La vita è bella lo induce a lasciare scorrere il fiume della testimonianza personale.
Sport, Resistenza e memoria
Nel 1946 l’Unione sportiva Calcara onora la memoria della Resistenza con la prima edizione del Gran Premio Caduti per la Liberazione. Diversi anni dopo, l’amministrazione comunale di Crespellano decide di dedicare la palestra della frazione a Irnerio e Idro, «valenti sportivi del ciclismo». Questi due giovani hanno infatti vissuto in modo pieno e partecipe il periodo più difficile della storia italiana. Sport e Resistenza si condensano nel ricordo di una morte dolorosa, ma destinata a rimanere incisa nella memoria pubblica.
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