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Le marce della morte e la liberazione di Auschwitz

Il 17 gennaio 1945 ad Auschwitz si tiene l’ultimo appello generale dei prigionieri. I nazisti sono pronti a lasciare il campo, perché stanno per arrivare i sovietici. L’offensiva dell’Armata Rossa verso la Germania è ormai inarrestabile, quindi i tedeschi cominciano la ritirata. Le SS organizzano le marce della morte per trasferire i prigionieri verso i territori ancora sotto il controllo del Reich.

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Liliana Segre racconta così quei giorni convulsi e concitati.

«Quando era passato un anno dal mio arrivo nel campo, cominciammo a sentire da lontano rumore di cannonate e di bombardamenti: qualche cosa stava succedendo. Ed ecco che dalla fabbrica Union arrivò il comando di evacuare il campo. E, così come eravamo, ci fecero alzare da quei banchi, dove lavoravamo per fare proiettili e munizioni, e venimmo avviate per quella che sarebbe stata chiamata la “marcia della morte”».

Distruggere le prove della Shoah

Le prime marce della morte partono all’indomani dell’ultimo appello generale. I nazisti capiscono di avere poco tempo e sono determinati a distruggere le prove dello sterminio. Il plenipotenziario delle SS Heinrich Himmler ordina dunque di far sparire ogni traccia delle camere a gas di Birkenau. I suoi uomini eseguono, ma non riescono a occultare tutti i segni dell’annientamento umano, portato avanti per anni all’interno del lager.

La "rampa dei treni" nel campo di Birkenau nei primi mesi del 1945. Bundesarchiv, B 285 Bild-04413 / Stanislaw Mucha / CC-BY-SA 3.0

La “rampa dei treni” nel campo di Birkenau nei primi mesi del 1945. Bundesarchiv, B 285 Bild-04413 / Stanislaw Mucha / CC-BY-SA 3.0

Le proporzioni del crimine sono troppo consistenti per essere nascoste. Lo US Holocaust Memorial Museum afferma che nel complesso di Auschwitz sono stati uccisi almeno 960.000 ebrei, 74.000 polacchi, 21.000 rom, 15.000 prigionieri sovietici e 10.000 persone di altre nazionalità.

Quando predispongono l’abbandono del campo di Auschwitz, i nazisti non vogliono rinunciare alle “risorse” del lager. Come in ogni operazione di ripiegamento, la logica del Reich consiste nel condurre via tutto ciò che può essere asportato e trasformato in un nuovo valore. Ne La tregua, Primo Levi racconta la sistematica spoliazione delle strutture polacche in precedenza occupate dalla Wehrmacht e dalle SS. Tutte le componenti metalliche e le parti riutilizzabili spariscono insieme alle truppe.

Le marce della morte

I nazisti adottano lo stesso approccio nei confronti dei prigionieri. Sono infatti determinati a sfruttare tutte le energie delle donne e degli uomini che hanno ancora la forza di lavorare. Li costringono pertanto a compiere le marce della morte, trasferendoli in altre strutture con l’obiettivo di rimetterli quanto prima all’opera. Da Auschwitz partono in questo modo circa 60.000 persone. Alcune vengono condotte verso nord-ovest fino alla località di Gliwice, altre marciano verso ovest fino a Wodzislav. Liliana Segre racconta così le difficoltà di quel viaggio forzato.

«Io, quando cominciai a capire che dovevo camminare, comandai al mio corpo: “Una gamba davanti all’altra! Devi andare avanti, devi andare avanti…”. Camminammo per giorni attraverso la Germania, camminavamo soprattutto di notte: città deserte, paesini deserti e le nostre sentinelle implacabili finivano con un colpo di pistola quelle che cadevano. Io non mi voltavo, non mi voltavo a vedere quelle che cadevano, non mi voltavo a vedere la neve sporca di sangue. Io non mi voltavo neanche quando ero nel campo e c’erano i mucchi di cadaveri scomposti fuori dal crematorio pronti per essere bruciati. Io non mi voltavo per guardare le compagne in punizione, io non volevo sapere di torture, di esperimenti, di racconti spaventosi. Io non volevo sapere, io volevo vivere e mi sdoppiavo in un’altra personalità: non ero lì, non ero io quella che faceva la marcia della morte».

Le SS accompagnano i prigionieri nelle marce della morte e uccidono sul posto chi non riesce a proseguire. Circa 15.000 persone trovano la morte in questo modo. Quando i gruppi dei superstiti arrivano nelle località di raccolta, vengono trasferiti in nuovi campi di concentramento.

La «demolizione di un uomo»

In quei mesi la Germania non riesce a riorganizzare davvero la produzione di guerra, ma non rinuncia alle marce della morte. I superstiti dei lager e dei trasferimenti invernali sono costretti a consumarsi ancora tra il freddo, la fame e le incertezze.

Le marce della morte servono soprattutto a prolungare l’opera di annientamento umano, iniziata con la promulgazione delle leggi razziali e proseguita a velocità crescente nell’universo concentrazionario. Nelle pagine conclusive di Se questo è un uomo, Primo Levi invita a riflettere su quanto sia difficile immaginare la radicalità di quelle violenze. «Per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo». Anche le parole con cui Liliana Segre racconta la marcia della morte invitano a riflettere su un’esperienza disumanizzante.

«Ci buttavamo come pazze sugli immondezzai e raccoglievamo bucce di patate, torsoli di cavolo marcio, un osso già rosicchiato dal cane di casa, e ci disputavamo questi orrori io e le mie compagne, le bocche sporche, scheletri orribili. Alzavo la testa a vederle, le mie compagne, e vedevo me stessa, la mia faccia scheletrita, ferina, bestiale. Eravamo le stesse a cui un anno o due prima, intorno a una tavola ben apparecchiata qualcuno aveva detto: “Ho fatto per te la torta che ti piace, ne vuoi ancora?”. Ma lì non c’era la tovaglia bianca, non c’era il viso amato della nonna Olga davanti a me. Rosicchiavo felice quel pezzo di osso. Non importa se poi avrei vomitato e avrei avuto la diarrea: intanto mettevo qualcosa nello stomaco».

Dopo la marcia della morte, Liliana Segre viene rinchiusa in una struttura di prigionia a Malchow. Nonostante un’infezione, trova la forza di sopravvivere. Così, all’inizio di maggio, l’arrivo delle truppe alleate le permette di essere di nuovo libera.

La liberazione di Auschwitz

Camera a gas nel campo principale di Auschwitz

Camera a gas nel campo principale di Auschwitz

Gli ultimi giorni di Auschwitz sono concitati. I nazisti si trovano costretti ad accelerare i tempi, al punto che abbandonano alcuni edifici in fretta e furia, lasciando addirittura un pasto a metà. Restano in piedi anche le camere a gas del campo principale.

Il 27 gennaio le truppe sovietiche entrano nel lager intorno a mezzogiorno. Sono ancora presenti circa 7.000 prigionieri, perlopiù bambini e malati, quindi impossibilitati a sostenere le marce della morte. Tra di loro c’è Primo Levi, che racconta ne La tregua i problemi e i pericoli di quei giorni. Molti uomini sono troppo deboli per sopravvivere; altri si gettano senza criterio sul cibo e muoiono perché i loro corpi non sono più capaci di assimilarne in quantità.

Ad Auschwitz i sovietici trovano cumuli di vestiti, valigie e scarpe, ma anche tonnellate di capelli. Sono i segni più concreti e drammatici di ciò che è accaduto all’interno del lager.

Occhiali appartenuti ai deportati nel campo di Auschwitz. Bundesarchiv, Bild 183-R69919 / CC-BY-SA 3.0

Occhiali appartenuti ai deportati nel campo di Auschwitz. Bundesarchiv, Bild 183-R69919 / CC-BY-SA 3.0

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