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«Purtroppo l’insidiosa epidemia non è ancora definitivamente scomparsa dalla nostra città e dalla provincia e anzi può dirsi che essa si mantiene stazionaria». Così leggono i bolognesi il 25 dicembre 1918 sfogliando Il Resto del Carlino. La pandemia in corso è l’influenza spagnola e il numero natalizio del quotidiano informa anche che nelle ultime settimane si è «manifestata una forma nuova e allarmante». Infatti,

«mentre in passato, anche nel suo periodo più acuto, l’influenza colpiva di preferenza gli organi bronco-polmonari e addominali, ora non sono infrequenti i casi in cui la forte febbre è accompagnata dal delirio e ciò dimostra che l’infezione colpisce direttamente anche il sistema nervoso. Ma non vi è alcun sintomo, per fortuna, che possa preoccupare la cittadinanza.»

Sono quindi notizie rassicuranti, che arrivano in un Natale ancora segnato dalle conseguenze della Grande Guerra, finita da meno di due mesi. Molte famiglie possono abbracciare nuovamente i loro cari tornati dal fronte, ormai smobilitati o in licenza, dopo lunghi periodi di lontananza. I reduci trovano però una città segnata dagli sforzi e dalle privazioni per sostenere lo sforzo bellico.

Bologna 1918: Natale al tempo della pandemia

A Bologna l’impatto della pandemia si aggiunge alle difficoltà di un territorio divenuto retrovia delle operazioni militari. Dopo la rotta di Caporetto, la città è infatti diventata lo snodo fondamentale per l’assistenza ai feriti e la riorganizzazione del Regio Esercito italiano. Anche dopo il 4 novembre gli ospedali militari sono pieni di feriti e di convalescenti. In città sono presenti o di passaggio anche parecchi ufficiali e soldati ancora in servizio.

Ancora Il Resto del Carlino, nell’edizione del 27 dicembre, ci racconta che a Natale i soldati in transito alla stazione ferroviaria ricevono dal Posto di ristoro americano «un pacco contenente un asciugatoio, un pigiama di ottima flanella, un paio di calze di lana, un pezzo di cioccolato, un pezzo di sapone, il necessario da scrivere con relativo francobollo».

Un soldato riceve un pacco dono della Croce rossa americana

Un soldato riceve un pacco dono della Croce rossa americana

A Bologna si organizzano cerimonie e momenti conviviali per i figli dei richiamati e per gli orfani di guerra. Ricevono assistenza e atti di beneficenza anche migliaia di profughi, arrivati in città e in provincia dopo la rotta di Caporetto. Non possono ancora fare ritorno alle loro case, perché le terre del nord-est sono state devastate dal conflitto e la ricostruzione è problematica.

Il «Natale benefico» coinvolge infine i soldati ricoverati per ferite e per malattie diverse dall’influenza spagnola. Il Comitato dei Trattenimenti negli Ospedali Militari, presieduto da Carolina Segato, organizza spettacoli negli ospedali Rizzoli, Principale, Pascoli e Gozzadini. La Young Men’s Christian Association (YMCA) propone ai soldati dell’ospedale De Amicis uno spettacolo di varietà. La Croce Rossa Americana porta doni ai ricoverati, in particolare a quelli del Rizzoli. All’ospedale militare Minghetti le dame bolognesi della Croce Rossa servono un pranzo a 250 degenti.

Il dottor Vittorio Putti, direttore dell’Istituto ortopedico Rizzoli, in posa insieme ad alcuni militari feriti nella Grande Guerra (Domi22, CC-BY-SA 3.0)

I contagiati dalla pandemia sono invece raccolti in un ospedale dedicato, il Masi, per isolarli dagli altri malati. In provincia aprono anche altre due strutture dello stesso tipo, una a Bentivoglio e una a Castello d’Argile.

I militari: vittime e veicoli della pandemia

I militari sono la fascia della popolazione più colpita dalla pandemia. Sono giovani, ma le circostanze della guerra li costringono spesso a condividere spazi chiusi e angusti, ideali per la diffusione del contagio. Era successo anche nel giugno alla Scuola Militare di Modena, ai tempi della prima ondata, che comunque in Italia aveva avuto effetti più lievi. Conseguenze più gravi si erano verificate invece a Parma fra il 19 e il 25 agosto, quando per la pandemia erano morte 77 persone, di cui 37 militari.

Quando la guerra finisce, cominciano a rientrare in Emilia i militari italiani che sono stati prigionieri degli austro-ungarici o dei tedeschi. Sono indeboliti dagli stenti dei campi e costretti ad affrontare periodi di rieducazione in strutture isolate. Molti li guardano infatti con sospetto, temendo che portino con sé le idee dei vecchi nemici.

La guerra provoca e amplifica movimenti di persone che diversamente non sarebbero stati così ampi. Proprio questi movimenti diffondono l’influenza spagnola in tutto il mondo. Ma se sono i soldati che la portano in giro, è corretto attribuirne l’origine a una nazione specifica, magari tra quelle belligeranti?

Perché si chiama influenza spagnola?

Caricatura belga che illustra l'arrivo della pandemia di influenza spagnola nel luglio del 1918

Caricatura belga che illustra l’arrivo della pandemia di influenza spagnola nel luglio 1918 (Hispalois, CC BY-SA 4.0)

Gli studi oggi ci dicono che le prime segnalazioni mediche dell’influenza si ebbero in America, quando nel marzo 1918 furono riscontrati i primi casi in un campo di addestramento del Kansas. Da lì la malattia, a bordo delle navi militari, sarebbe arrivata sulle coste europee dell’Atlantico per poi diffondersi nel continente. Nei Paesi belligeranti, però, le notizie relative all’influenza erano sottoposte a censura, così l’esistenza della malattia divenne di dominio pubblico solo alla fine di giugno nella neutrale Spagna. Da lì il nome di influenza “spagnola”.

Gli spagnoli, però, pensavano fosse venuta da fuori e la chiamarono “soldato napoletano”. Ogni Paese in guerra, poi, aveva buon gioco a incolpare le potenze nemiche, mentre gli Stati neutrali si accusavano comunque a vicenda, scaricando la responsabilità della pandemia su altri. Ecco perché quell’influenza ebbe tanti nomi diversi: i brasiliani la chiamarono “influenza tedesca”, i polacchi “bolscevica”, i persiani diedero la colpa ai britannici e così via…

La seconda ondata della pandemia

In Italia, col passare del tempo, l’influenza viene chiamata “spagnola”. Arriva nel maggio 1918 con alcuni casi sporadici: si verificano focolai nelle zone di Assisi, Domodossola, La Spezia, Piacenza, Verona, Pisa e Modena. A giugno compare a Ravenna e a Bologna, con forme non allarmanti. A luglio si diffonde nell’esercito dallo Stelvio al Garda. Ma è nell’autunno che si manifesta in modo grave, riapparendo a Bologna alla metà di settembre.

I mesi di ottobre e novembre sono molto pesanti in tutta l’Emilia. La seconda ondata colpisce infatti più duramente il Paese, che vive nel frattempo l’offensiva di Vittorio Veneto. Il 3 dicembre i bolognesi hanno conferma da Il Resto del Carlino di quanto sia stata grave la situazione nel bimestre precedente. Nella sola città l’influenza spagnola provoca infatti 1.420 morti, di cui 564 civili e 856 militari.

«Risultò subito come il contagio si manifestasse e si diffondesse specialmente nei luoghi di affollamento e di riunione. Le officine, i laboratorii, le caserme furono i principali centri del male. In certe località abitate la diffusione fu così rapida da assumere l’impeto di una manifestazione improvvisa e quasi contemporanea».

In provincia, escludendo il capoluogo, tra il 27 settembre e il 17 novembre le vittime sono 3.835. I giovani vengono colpiti in gran numero e con forme piuttosto gravi, ma anche le categorie più fragili sono investite dalla pandemia.

«I tubercolotici e i malati di cuore sono stati le vittime predestinate della malattia. Allorché l’infezione invase un sanatorio di tisici la mortalità fu fortissima».

A Modena nel mese di ottobre si registrano 10.532 casi di contagio e 378 vittime, 53 delle quali appartenenti alla popolazione civile. In generale, in Emilia-Romagna l’influenza ha un andamento decrescente da ottobre a dicembre, tanto che nell’ultimo mese dell’anno, secondo Il Resto del Carlino, la pandemia «è ormai scomparsa».

«Come si è vinto»: le misure contro il contagio

Come si prova a uscire dalla pandemia, quali misure vengono prese? È ancora Il Resto del Carlino a illuminarci:

«Tutte le autorità politiche, militari, municipali concorsero validamente alla battaglia contro il male insidioso. Come è noto, nel periodo più acuto della diffusione del morbo, furono evitati, per quanto era possibile, gli affollamenti con la chiusura delle scuole, dei cinematografi, la riduzione del numero delle recite teatrali, delle funzioni religiose, con la sospensione delle fiere e dei mercati, con la prescrizione di speciali misure igieniche nei locali pubblici. […] Fu inoltre stabilito e ridotto il prezzo dei medicinali d’uso più comune e fu aumentato il quantitativo del razionamento.»

Il giornale segnala poi l’«opera indefessa e umanitaria» dei medici e delle autorità sanitarie, che portano «tutto l’ausilio della loro scienza e della loro intelligente attività». Nella lotta alla pandemia contribuiscono «con vivissimo interessamento all’azione altamente umanitaria e benemerita» anche il prefetto Quaranta e il sindaco Zanardi.

La fine della pandemia in Italia

In occasione dell’edizione natalizia, il Carlino è ottimista sul futuro:

«La epidemia può considerarsi vinta e tutto lascia prevedere e sperare che, salvo qualche caso isolato che forse continuerà a verificarsi per tutta la stagione invernale, potremo presto dire di esserci liberati dall’incubo che incombe sulla nostra salute»

Le ultime vittime si registrano a febbraio in provincia di Modena e ad aprile nelle province di Reggio Emilia e Bologna. Nell’inverno successivo l’influenza si manifesta di nuovo in Europa e anche in Italia, ma con numeri di casi e di morti nettamente inferiori rispetto al 1918-1919.

L'andamento della pandemia di influenza spagnola nel mondo

Le rime della storia

In questi mesi molti hanno paragonato la pandemia attuale all’influenza spagnola. Se è vero che in qualche caso si notano alcune somiglianze, bisogna comunque ricordare che si tratta di eventi differenti, accaduti in contesti diversi. La storia non si ripete mai uguale a sé stessa, ma per citare Mark Twain “fa le rime”. Conoscere fatti simili, avvenuti nel passato, ci aiuta a mettere meglio a fuoco ciò che stiamo vivendo, ma non ci consente mai di prevedere infallibilmente il futuro.

Abbiamo costruito questo contributo attraverso nostre ricerche, svolte sull’archivio digitale del progetto “Storia e memoria di Bologna”, e letture di cui ti proponiamo una selezione:

  • 1918. L’influenza spagnola, di Laura Spinney
  • La “Spagnola” in Italia, di Eugenia Tognotti
  • L’influenza spagnola in Emilia-Romagna, di Fabio Montella
  • Una regione ospedale, a cura di Fabio Montella, Francesco Paolella e Felicita Ratti
  • La prima guerra mondiale, a cura di stéphane Audoin-Rouzeau e Jean-Jacques Becker

Un augurio di buone feste a tutte e a tutti, con un pensiero particolare a chi si trova più in difficoltà.

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