Il 7 dicembre 1941 il Giappone mette in atto l’«Operazione AI» e attacca la flotta degli Stati Uniti a Pearl Harbor, nell’arcipelago delle Hawaii. Il raid coglie di sorpresa i militari della base e genera gravi conseguenze. Muoiono circa 2.400 persone e anche i danni materiali sono consistenti: la flotta americana perde 18 navi e alla fine della giornata risultano distrutti o danneggiati oltre 300 aerei.

Nel breve termine, l’attacco di Pearl Harbor si rivela dunque un successo per il Giappone. Gli eventi di quei giorni hanno però pesanti conseguenze sugli equilibri geopolitici dell’Oceano Pacifico nel medio e nel lungo termine. Ma come si arriva a quel punto? E cosa succede dopo?

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Il Giappone nazionalista e imperialista

L’attacco di Pearl Harbor coglie di sorpresa le forze armate statunitensi, ma non è un fulmine a ciel sereno. Da anni, infatti, il Giappone coltiva il nazionalismo e si propone di formare un impero in Oriente. Conduce quindi una politica estera particolarmente aggressiva, che contribuisce a innescare parecchie tensioni in Oriente.

Nel 1931 l’esercito nipponico attacca la Cina, invadendo la Manciuria. Negli anni successivi, le operazioni militari del Giappone nazionalista assumono connotati particolarmente duri in Corea. La popolazione della penisola è costretta ad assecondare completamente le esigenze dei giapponesi, assumendone anche la cultura e le tradizioni.

Nel dicembre del 1937 le truppe nipponiche occupano inoltre la città di Nanchino, capoluogo della provincia cinese dello Jiangsu. È l’inizio della seconda guerra sino-giapponese, che si conclude soltanto nel 1945. Nelle prime sei settimane dell’occupazione la sinofobia raggiunge il culmine. I militari torturano centinaia di migliaia di civili e stuprano sistematicamente le donne. Nel massacro di Nanchino perdono la vita circa 300.000 persone.

Le truppe giapponesi marciano per le strade di Pechino nel 1937

Le truppe giapponesi marciano per le strade di Pechino nel 1937, all’inizio della seconda guerra sino-giapponese

Le tensioni fra il Giappone e gli Stati Uniti

L’imperialismo giapponese lancia così la propria campagna di conquiste territoriali. Si diffonde così lo slogan “l’Asia agli asiatici”. Gli obiettivi di medio e lungo termine sono infatti ambiziosi. Tokyo sogna di conquistare i possedimenti coloniali britannici e francesi nell’Indocina, ma anche di ottenere il dominio sull’Oceano Pacifico a spese degli Stati Uniti.

Il patto tripartito con la Germania nazista e con l’Italia fascista consente all’imperatore Hirohito di ricevere tutele di fronte alle eventuali rimostranze delle potenze europee. L’asse Roma-Berlino-Tokyo (RO-BER-TO) serve anche come contrapposizione ideale all’Unione Sovietica. I tre Paesi percepiscono infatti il comunismo come un nemico comune.

28 settembre 1940: la prima pagina del quotidiano La Tribuna sulla stipula del patto tripartito. Immagine di Gianluca T., CC-BY-SA 4.0

28 settembre 1940: la prima pagina del quotidiano La Tribuna sulla stipula del patto tripartito. Immagine di Gianluca T., CC-BY-SA 4.0

Le mire espansionistiche del Giappone generano qualche apprensione negli Stati Uniti. A Washington, però, il presidente Franklin Delano Roosevelt decide di non entrare subito nella Seconda guerra mondiale. Pur garantendo in vari modi un sostegno all’Impero britannico, la potenza americana rimane non belligerante. Nel Pacifico, la diplomazia statunitense punta sulla strategia del negoziato, trovando sponde anche in Giappone. Nell’autunno del 1941 prevale tuttavia la linea dell’ammiraglio Isoroku Yamamoto, comandante in capo della Flotta Combinata, che mira a sfidare apertamente gli Stati Uniti per conquistare l’egemonia sul Pacifico.

L’attacco di Pearl Harbor

All’inizio del dicembre 1941 l’imperatore Hirohito approva un bombardamento massiccio alla base navale hawaiana di Pearl Harbor, dove si trovano 8 corazzate, 9 incrociatori, 28 cacciatorpediniere e 5 sottomarini statunitensi. Diversi mezzi sono lì da pochi mesi: prima si trovavano nella base californiana di San Diego.

Pearl Harbor nell'ottobre 1941

Pearl Harbor nell’ottobre 1941

L’attacco avviene alle 7:48 del 7 dicembre 1941 e, come detto in apertura, coglie di sorpresa la marina a stelle e strisce, ancora impreparata all’inizio delle ostilità. La prima ondata, formata da circa 180 aerei, prende di mira le navi da guerra più grandi. La seconda, costituita da un numero simile di velivoli, deve completare l’opera, colpendo i mezzi più piccoli e gli edifici della base.

Fotografia della USS Arizona, distrutta durante l'attacco di Pearl Harbor. La devastazione del magazzino degli armamenti di questa nave provoca la morte di circa 1.200 persone

Fotografia della USS Arizona, distrutta durante l’attacco di Pearl Harbor. La devastazione del magazzino degli armamenti di questa nave provoca la morte di circa 1.200 persone

Nel volgere di un’ora e mezza muoiono 2.331 soldati e 55 civili. I feriti sono invece 1.139. Tutte le corazzate, 3 cacciatorpediniere, 3 incrociatori e altre 4 navi finiscono fuori combattimento, insieme a più di 300 aerei. Le forze armate nipponiche perdono “soltanto” 55 uomini, 29 aerei (su oltre 350) e 5 mini-sottomarini, così all’indomani decidono di attaccare le Filippine, controllate dagli Stati Uniti. Il Giappone mette dunque a segno un colpo pesante, proiettando la propria influenza fino al Pacifico centro-occidentale.

Aerei statunitensi danneggiati durante l'attacco di Pearl Harbor a Ford Island. Sullo sfondo si vede la nave USS Shaw in fiamme. USN - Official U.S. Navy photograph 80-G-19948

Aerei statunitensi danneggiati durante l’attacco di Pearl Harbor a Ford Island. Sullo sfondo si vede la nave USS Shaw in fiamme. USN – Official U.S. Navy photograph 80-G-19948

L’intervento degli Stati Uniti

L’attacco di Pearl Harbor convince il presidente Franklin Delano Roosevelt ad abbandonare la neutralità. Gli Stati Uniti dichiarano così guerra all’Impero giapponese. Il Paese sta ormai uscendo dagli incubi della “grande crisi” e intensifica la produzione industriale per bruciare le tappe della preparazione bellica. La Marina recupera inoltre dalle acque basse di Pearl Harbor sei delle otto maggiori navi da guerra, rimettendole in funzione. Gli Stati Uniti possono poi contare sulle tre portaerei Lexington, Saratoga ed Enterprise, che non si trovavano a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941.

Nel frattempo tutti gli abitanti di origine nipponica e coloro che vengono ritenuti simpatizzanti dei giapponesi subiscono vari tipi di pressioni. Si arriva anche a realizzare campi d’internamento, dove le autorità fanno rinchiudere le persone più “sospette”.

Quando la Germania e l’Italia dichiarano guerra agli USA, il presidente Roosevelt accetta di impegnare le proprie forze armate non soltanto sul fronte del Pacifico, ma anche in Europa. Soddisfa così le richieste di Winston Churchill, che invoca da tempo un aiuto nel conflitto contro i fascismi. La guerra contro il Giappone continuerà tuttavia ad assorbire una parte consistente delle energie statunitensi. Non a caso, l’immaginario americano è ricco di riferimenti alle difficoltà e alle sofferenze di coloro che affrontarono la campagna militare nel Pacifico.

La Seconda guerra mondiale nell’Oceano Pacifico

Il conflitto tra gli Stati Uniti e il Giappone è particolarmente duro. La prima fase è favorevole all’Impero nipponico, decisamente più pronto ad affrontare uno scontro armato. Tokyo non riesce tuttavia a chiudere le ostilità con una prova di forza risolutiva, esponendosi in questo modo alle difficoltà di una guerra logorante.

La potenza americana emerge nel corso dei mesi. Nella battaglia delle Midway la flotta giapponese subisce un colpo durissimo, in seguito al quale l’andamento delle operazioni sorride sempre più decisamente alle forze armate statunitensi.

Negli ultimi due anni del conflitto Washington fa valere il peso della propria economia, schiacciando progressivamente l’Impero del Sol Levante. Tuttavia l’esercito nipponico rifiuta la resa e difende strenuamente le isole. Si pongono così le basi per l’impiego delle bombe atomiche sulle città di Hiroshima e Nagasaki, atto finale della Seconda guerra mondiale e preludio dell’epoca successiva, caratterizzata dall’equilibrio del terrore nucleare.

Per saperne di più

Per approfondire la storia raccontata in questo post, consigliamo la lettura di alcuni libri, disponibili per l’acquisto online:

  • Il secolo breve 1914-1991, di Eric J. Hobsbawm;
  • Un mondo in armi. Storia globale della seconda guerra mondiale, di Gerhard L. Weinberg;
  • La seconda guerra mondiale. 1939-1945. Una storia militare, di John Keegan;
  • Storia degli Stati Uniti, di Oliviero Bergamini;
  • Breve storia degli Stati Uniti d’America, di Robert V. Remini.

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