L’autunno del 1917 è una stagione molto difficile per il Regio Esercito italiano, impegnato da due anni e mezzo nella Prima Guerra mondiale. Lo Stato Maggiore non ha ancora abbandonato la speranza di sferrare l’attacco decisivo alle forze austro-ungariche, ma le truppe sono molto provate. Le offensive frontali sul Carso e la ferrea disciplina militare impongono infatti da tempo sforzi molto consistenti ai sottufficiali e ai soldati. Anche se l’esercito imperiale austro-ungarico è sembrato più volte vicino al collasso, c’è spazio per un colpo di scena, che prende forma a Caporetto.

L’attacco di Caporetto e l’inizio della disfatta

Tutto comincia nella notte fra il 23 e il 24 ottobre. Alcuni reparti tedeschi, trasferiti in Italia dal fronte occidentale, pianificano un attacco vicino al piccolo paese di Caporetto. Questi nuclei vengono da uno dei teatri più duri del conflitto e puntano sull’effetto-sorpresa. Dopo un bombardamento massiccio, effettuato utilizzando anche gas tossici, i tedeschi cominciano a infiltrarsi alle spalle delle linee italiane. La Seconda Armata subisce così un attacco inatteso e comincia a cedere proprio nella zona di Caporetto.

Nel giro di poche ore, salta tutto. I comandi perdono il controllo della situazione e non riescono a organizzare alcun tipo di difesa. Per il Regio Esercito comincia così una disfatta di proporzioni epocali. Molti reparti si trovano allo sbando: alcuni combattono finché possono, ma si trovano presto circondati dalle forze tedesche. Parecchi soldati capiscono che non c’è più nulla da fare e gettano i fucili. Si forma così un flusso di giovani, che cercano di mettersi in salvo in ogni modo possibile. C’è chi mira a salvare la pelle e chi approfitta del caos per accaparrarsi un po’ di bottino, ma qualcuno punta più in alto e comincia a protestare contro i vertici del Regio Esercito, pienamente responsabili del disastro.

Il “mito” di Caporetto

Nasce così il “mito” di Caporetto. Gli alti comandi militari cercano fin da subito di scagionarsi, affermando che i reparti al fronte hanno smesso di combattere per viltà. Le forze politiche moderate temono addirittura che la disfatta sia il frutto di alcune idee pacifiste o addirittura rivoluzionarie, che si sono diffuse fra le truppe proprio come era successo poco prima nell’Impero russo, travolto dall’azione dei bolscevichi.

I soldati avrebbero quindi “fatto” Caporetto apposta, per rovesciare il sistema? Difficile. Anche se diversi sottufficiali nutrono una forte sfiducia nei confronti dei superiori, è complicato pensare che abbiano convinto decine di migliaia di uomini a seguirli in una protesta sovversiva. La diffusione delle idee socialiste e rivoluzionarie tra i reparti non è inoltre così capillare e pervasiva come temono i moderati.

Le ricerche storiche degli ultimi cinquant’anni fanno tuttavia ricadere la responsabilità di Caporetto sui vertici militari. I comandi della Seconda Armata adottano infatti una strategia inadatta a fronteggiare gli effetti di un blitz come quello portato dai tedeschi. Dopo l’inizio dell’attacco viene inoltre meno la capacità di mantenere i contatti fra i reparti. Il caos della ritirata è dunque una conseguenza della cattiva pianificazione militare e di un’inadeguata azione di comando.

Dalla ritirata alla battaglia di arresto

Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, in poco più di due settimane, la linea del fronte passa dall’Isonzo al Piave, retrocedendo di oltre 100 chilometri. Nel Regio Esercito italiano i morti sono oltre 10.000, i feriti circa 30.000, i prigionieri più di 250.000. Dal Friuli e dal Veneto fuggono inoltre verso sud circa 500.000 civili: sono i profughi di Caporetto, destinati a vivere con difficoltà gli ultimi dodici mesi di guerra e le traversie del ritorno. Molti di loro viaggiano per mesi, cambiando varie destinazioni. Diversi oltrepassano anche il Po, facendo i conti con le differenze regionali dell’Italia di allora.

Profughi italiani, fuggiti nel corso della rotta di Caporetto, su una strada del Veneto nel febbraio 1918

Profughi italiani, fuggiti nel corso della rotta di Caporetto, su una strada del Veneto nel febbraio 1918

Il 9 novembre le truppe italiane si attestano lungo il corso del Piave e si preparano a fermare l’avanzata delle forze armate austro-ungarico-tedesche. Nelle due settimane successive la “battaglia di arresto” consolida il fronte lungo il corso del fiume. Le operazioni militari si snoderanno dunque per mesi tra il Pasubio, il massiccio del Monte Grappa e l’area del Piave.

Gli effetti di Caporetto sulla società italiana

Dopo la rotta di Caporetto, il governo di Vittorio Emanuele Orlando teme il peggio. Arrivano alcuni cambiamenti piuttosto significativi: al vertice del Comando Supremo, il generale Luigi Cadorna viene sostituito da Armando Diaz, che comincia una guerra difensiva tra il monte Grappa e il fiume Piave.

La disciplina militare viene in parte attenuata, ma al tempo stesso si estende la “zona di guerra”. Le istituzioni militari e civili inaspriscono il controllo sulla popolazione, imponendo ai cittadini il sostegno allo sforzo bellico. I pacifisti e quelli che invocano la fine del conflitto vengono segnalati, disprezzati e puniti duramente come “disfattisti”, dunque “nemici della patria” e anti-italiani. I socialisti vengono guardati a vista e spesso additati come potenziali nemici pubblici.

Si pongono così le basi per le successive contrapposizioni tra i sostenitori della “vittoria a ogni costo” e coloro che denunciano le disuguaglianze e gli orrori provocati dalla guerra, chiedendo una maggiore giustizia sociale.

Manifesto italiano di propaganda, che incita i cittadini a mantenere il silenzio, inducendoli al sospetto nei confronti degli altri - Caporetto

Manifesto italiano di propaganda, che incita i cittadini a mantenere il silenzio, inducendoli al sospetto nei confronti degli altri

Per saperne di più

Per approfondire la storia raccontata in questo post, consigliamo la lettura di alcuni libri, disponibili per l’acquisto online:

  • Caporetto, di Alessandro Barbero
  • Caporetto. Storia e memoria di una disfatta, di Nicola Labanca
  • Soldati e prigionieri italiani nella grande guerra. Con una raccolta di lettere inedite: 1, di Giovanna Procacci
  • Dalla rassegnazione alla rivolta. Mentalità e comportamenti popolari nella grande guerra, di Giovanna Procacci
  • Gli esuli di Caporetto. I profughi in Italia durante la grande guerra, di Daniele Ceschin

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