Nelle ultime settimane le proteste del movimento Black lives matter hanno riaperto il dibattito sugli squilibri sociali e sulle disuguaglianze nel mondo di oggi. Sono così riemerse alcune pagine “scomode” del Novecento, come il rapporto tra storia del colonialismo e decolonizzazione.

In Italia si è discusso a lungo, ad esempio, degli attacchi alla statua di Indro Montanelli ai giardini pubblici di Milano. Il giornalista non ha infatti mai rinnegato le azioni commesse nel suo passato coloniale, tra le quali spiccano “l’acquisto” e “il possesso” di una giovanissima concubina.

Salvo poche eccezioni, il dibattito pubblico non ha però saputo indagare le ragioni profonde degli squilibri e delle disuguaglianze di oggi. Perché ancora oggi si verificano situazioni di ingiustizia, che inducono tante persone a protestare? Esiste un legame tra problemi attuali, storia del colonialismo e decolonizzazione?

“La forbice della ricchezza”: storia del colonialismo e decolonizzazione

Venerdì 17 luglio, alle ore 21, presso il Parco Amendola di Modena, cercherò risposte a queste domande, insieme alla giornalista e fotoreporter Annalisa Vandelli, nell’incontro La forbice della ricchezza. Il colonialismo e gli squilibri globali.

L’evento celebra l’International Mandela Day, che come ogni anno cadrà il 18 luglio, nel giorno della nascita di Nelson Mandela. A me toccherà aprire la serata con un racconto sulle dinamiche e sull’eredità del colonialismo europeo in Africa. Attraverso la ricostruzione dei fatti, cercherò di far emergere le radici storiche dei problemi di oggi.

Annalisa Vandelli partirà da alcuni spunti della ricostruzione storica per approfondire aspetti specifici degli squilibri e delle disuguaglianze nel mondo globale. Nel suo intervento parlerà dello sfruttamento delle risorse in Congo, ma dell’eredità lasciata dalle guerre e dei problemi della povertà. Le sue parole saranno accompagnate dalle fotografie scattate nel corso dei viaggi in diversi Paesi del mondo.

A seguire si terrà il concerto dei NOCTUA, che presenteranno il loro ultimo album. Nelle parole e nelle intenzioni di questo gruppo, la musica unisce, costruisce ponti e abbatte le barriere.

L’organizzazione dell’evento è a cura di Loving Amendola, Modena Terzo Mondo e NOCTUA.

storia del colonialismo e decolonizzazione - locandina

Sarà presente anche la comunità colombiana dell’Associazione TEFA. La loro Afrocolombianidad sarà il modo di festeggiare il giorno dell’indipendenza colombiana.

Se vuoi già adesso un “assaggio” dei temi trattati durante l’incontro, lo trovi qui sotto!

Breve storia del colonialismo e decolonizzazione

Nell’ultima parte dell’Ottocento, l’Europa vive un’epoca di squilibri e contraddizioni. La Seconda rivoluzione industriale incrementa il potenziale economico di tutto l’Occidente, ma genera anche problemi di sovrapproduzione. Il benessere delle classi dirigenti si mette in mostra nelle esposizioni universali. La ricchezza resta tuttavia concentrata nelle mani di pochi. Aumentano così le tensioni sociali, generate dall’ascesa della borghesia imprenditoriale e inasprite dalla seconda rivoluzione industriale.

Il disagio di chi si trova in difficoltà costituisce un terreno fertile per i sentimenti rivoluzionari e anarchici. Crescono anche i partiti socialisti e le organizzazioni sindacali, le cui rivendicazioni vengono spesso soffocate dalle autorità pubbliche. Le delusioni e i rancori delle classi medie alimentano invece la “volontà di potenza” dei nazionalisti, determinati a utilizzare la rabbia per rafforzare il senso d’identità e l’aggressività di specifiche comunità etniche.

I governi rispondono alle difficoltà dell’economia capitalistica applicando dazi sulle importazioni dall’estero. Spinti dalle classi dirigenti, promuovono inoltre politiche imperialistiche con l’obiettivo di conquistare risorse e mercati.

Vignetta che riporta l’immagine propagandistica del “fardello dell’uomo bianco”, secondo la quale gli occidentali si assumono l’onere di “civilizzare” le popolazioni indigene

L’espansione coloniale

Comincia così una nuova fase del colonialismo, nella quale l’Occidente impone il proprio controllo su vaste regioni del sud-est asiatico. Tra la Conferenza di Berlino (1884-1885) e l’inizio del Novecento, le principali potenze europee si spartiscono l’Africa. La Francia cerca di dimenticare la sconfitta nella guerra contro la Prussia, conquistando vasti territori nell’Africa occidentale ed equatoriale.

La “parte del leone” resta comunque quella dell’Impero britannico. Londra si assicura il predominio sulla parte orientale del continente, dall’Egitto ai  possedimenti sudafricani. Rafforza inoltre il controllo sulla Costa d’Oro e si proietta lungo il corso del fiume Niger.

Gli imperi britannico e francese si affermano come le maggiori potenze coloniali del mondo, generando modelli di dominio sensibilmente diversi. Parigi mira ad assimilare i popoli sottomessi nella Repubblica, educandoli secondo i propri valori, ma controllando direttamente le loro risorse. Londra cerca invece di affidarsi alle classi dirigenti locali, concedendo loro una maggiore autonomia, purché non si allontanino mai dal mercato e dal sistema economico del Commonwealth britannico.

Vignetta che reinterpreta la propaganda del “fardello dell’uomo bianco”, denunciando lo sfruttamento delle risorse e del lavoro da parte degli occidentali…

Il caso del Congo

Dopo la Conferenza di Berlino, il sovrano belga Leopoldo II ottiene il controllo dello Stato libero del Congo. Si tratta di un’area estremamente vasta, collocata nel cuore dell’Africa, lungo il corso dell’omonimo fiume. In quei territori si trovano diverse realtà politiche indigene. Leopoldo II riesce tuttavia a farsi riconoscere l’intera area come un possedimento privato, non legandolo subito alle sorti del regno belga.

Tra il 1885 e il 1908, lungo il fiume Congo, si consuma una delle esperienze più traumatiche della storia del colonialismo. Leopoldo II decide infatti di sfruttare in maniera intensiva le risorse del territorio. Le imprese incaricate dal sovrano costringono le popolazioni a sobbarcarsi quantità massacranti di lavoro. I funzionari dello Stato reprimono inoltre con estrema durezza ogni atto di insubordinazione.

Leopoldo II, re dei belgi dal 1865 al 1909

Leopoldo II, re dei belgi dal 1865 al 1909. Immagine tratta da Wikimedia Commons

La realtà del Congo impressiona tremendamente lo scrittore polacco Joseph Conrad, che racconta lo sfruttamento delle risorse e il massacro degli indigeni nel romanzo Cuore di tenebra. Si calcola che, nei 23 anni del dominio leopoldino, circa 10 milioni di congolesi abbiano perso la vita per gli stenti del lavoro e le violenze dei colonizzatori. Le ombre di questo dominio suggeriscono alla casa regnante di porre il Congo sotto il controllo del Belgio. Dopo tale passaggio, nessuno in Occidente contesta la legittimità del dominio coloniale di Bruxelles.

Il colonialismo italiano

Sul finire dell’Ottocento il regno d’Italia non riesce a mettere in atto una politica di potenza. Dal momento che molti emigranti si trasferiscono in Tunisia, Roma ambisce a stabilire un controllo sull’area, ma la Francia riesce ad anticiparla. L’Italia ottiene soltanto una prelazione sui territori libici, che cercherà di esercitare soltanto nel 1911.

Le istituzioni dello Stato ottengono tuttavia da alcune compagnie private il controllo di alcuni avamposti tra la costa del Mar Rosso (Assab) e il litorale eritreo (Massaua). Si forma così il primo possedimento coloniale italiano. La penetrazione dalla costa dell’Eritrea all’entroterra etiope si rivela tuttavia complicata. Le forze armate italiane incappano in diverse sconfitte, l’ultima delle quali (Adua, 1896) induce la classe dirigente a rinunciare all’espansione africana.

Rappresentazione britannica della battaglia di Adua, realizzata a partire dai racconti di alcuni sopravvissuti

Rappresentazione britannica della battaglia di Adua, realizzata a partire dai racconti di alcuni sopravvissuti

La “politica di potenza” riprenderà soltanto negli anni della dittatura fascista, quando Mussolini si porrà l’obiettivo di consolidare i possedimenti precedenti e di conquistare un impero. Per controllare i territori e completare nuove conquiste, le forze armate del regime si macchieranno di numerosi crimini sia contro i militari, sia contro le popolazioni civili.

Le colonie tra la Grande Guerra e le difficoltà degli anni Trenta

Nel corso della Prima guerra mondiale, gli imperi britannico e francese impongono notevoli sforzi bellici alle popolazioni indigene sottomesse. Il contributo degli eserciti coloniali è consistente e si traduce anche in numerose perdite sui campi di battaglia. Al tempo stesso, tuttavia, i combattenti maturano la consapevolezza di “contare qualcosa” per la “patria” che li manda al fronte.

I sistemi educativi delle colonie formano intanto una classe dirigente indigena, chiamata ad amministrare i territori in maniera funzionale alle esigenze occidentali. Gli studenti crescono assimilando la cultura dei conquistatori. Alcuni di loro non si sentono però soltanto colonizzati e subalterni, ma avvertono il desiderio di una maggiore autonomia.

Quando gli squilibri del dopoguerra e la crisi economica del 1929 mettono in difficoltà gli imperi, i governi decidono di allentare il controllo su alcuni territori. Sono soprattutto i britannici ad assicurare un grado più alto di autonomia ai loro dominions. Non cambiano, tuttavia, i rapporti di forza all’interno delle colonie. La popolazione nativa non gode mai degli stessi diritti concessi ai conquistatori o ai creoli. Gli africani vivono in uno stato di sudditanza e sono chiamati a fornire la propria forza-lavoro a basso costo, senza avanzare alcuna pretesa sulle risorse naturali.

La Seconda guerra mondiale e la decolonizzazione

Il contributo delle colonie e delle popolazioni indigene si rivela decisivo anche nel corso della Seconda guerra mondiale. Al termine del conflitto, gli equilibri globali cambiano in maniera decisiva. Si afferma infatti il bipolarismo tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, mentre gli imperi britannico e francese restano in secondo piano. Londra e Parigi cominciano ad avvertire l’esigenza di rivedere i rapporti con i loro territori d’Oltremare.

La disgregazione degli imperi coloniali europei si completa tra il 1954 e il 1975. In quasi tutti i possedimenti territoriali britannici, francesi, belgi, spagnoli e portoghesi nascono movimenti di opposizione al dominio occidentale.

Molti leader dei popoli oppressi conoscono la cultura delle “madrepatrie” per essersi formati intellettualmente o professionalmente nelle loro capitali. I cambiamenti geopolitici del dopoguerra li incoraggiano a cercare una sintesi tra le idee illuministiche e i valori delle rispettive comunità di origine. Dal loro impegno nascono dunque rivendicazioni per una maggiore autonomia di governo, che sfociano spesso in vere e proprie richieste di indipendenza.

La decolonizzazione britannica

I britannici rinunciano senza grandi sussulti ai possedimenti dell’impero. In molti contesti i governatori hanno infatti lavorato per emancipare una classe dirigente autoctona, legata a Londra dalla cultura trasmessa dagli ambienti formativi.

storia del colonialismo e decolonizzazione - 1961: Julius Nyerere, leader fondatore della Tanzania, mentre chiede la completa indipendenza dall'Impero britannico. Foto via Wikimedia Commons

1961: Julius Nyerere, leader fondatore della Tanzania, mentre chiede la completa indipendenza dall’Impero britannico. Foto via Wikimedia Commons

Soltanto le colonie di popolamento, come il Kenya, sono attraversate da maggiori tensioni, poiché la classe dirigente creola teme di essere messa in minoranza dagli indigeni e non vuole rinunciare alla protezione britannica. Nascono così forti tensioni con i movimenti indipendentisti, che assumono talvolta connotati di militanza guerrigliera.

il Regno Unito vive con notevole difficoltà la progressiva e ineluttabile perdita dell’egemonia mondiale. Il rimpianto dell’età vittoriana si afferma in molti strati della società inglese, costretta a fare i conti sia con il declino economico, sia con la perdita del prestigio imperiale. Le ex colonie sono tuttavia incoraggiate a restare nel Commonwealth, mantenendo attive le relazioni commerciali con la vecchia “madrepatria”.

La decolonizzazione francese

La Francia vive invece la disgregazione dell’impero in maniera molto più traumatica. Dopo la sconfitta del nazismo e il recupero dei possedimenti d’Oltremare, i popoli manifestano una crescente insofferenza nei confronti della dominazione di Parigi. Il modello coloniale francese pretende infatti di assimilare culturalmente i gruppi etnici. I valori della Repubblica sono imposti con uno sforzo di “civilizzazione” non sempre apprezzato dai destinatari, che protestano per l’esclusione dalle decisioni e per le ripetute imposizioni militari della “madrepatria”.

La situazione precipita quando s’infiamma lo scenario dell’Indocina. Nel 1954 Ho Chi Minh lancia l’insurrezione dei Việt Minh contro le truppe del Corpo di spedizione francese in Estremo Oriente. Nella battaglia di Ðiện Biên Phủ il generale Võ Nguyên Giáp conduce i Việt Minh a un successo totale: i francesi si ritirano dall’Indocina e il Vietnam è diviso in due parti lungo il 17° parallelo; al Nord, marxista e filo-sovietico, si contrappone il Sud, apertamente sostenuto dagli Stati Uniti.

La perdita dell’Indocina avvia la disgregazione dell’impero francese. Sul finire degli anni Cinquanta quasi tutte le colonie si muovono per ottenere l’indipendenza. Parigi non si oppone alla liberazione dei possedimenti subsahariani, anche se agisce sotto traccia per mantenere un’influenza militare e commerciale sugli Stati nascenti.

La guerra di Algeria

Nel Maghreb la situazione è invece radicalmente diversa: le colonie più prossime al Mediterraneo sono abitate da diversi francesi e creoli, desiderosi di mantenere la propria posizione sociale e dunque diffidenti nei confronti dei movimenti indipendentisti.

storia del colonialismo e decolonizzazione - Militanti armate della resistenza algerina: da sinistra, Samia Lakhdari, Zohra Drif, Djamila Bouhired e Hassiba Ben Bouali. Foto via Wikimedia Commons

Militanti armate della resistenza algerina: da sinistra, Samia Lakhdari, Zohra Drif, Djamila Bouhired e Hassiba Ben Bouali. Foto via Wikimedia Commons

Gli scontri più gravi si accendono in Algeria, poiché la Repubblica vorrebbe considerare quel territorio come parte integrante della Francia. Il 1° novembre 1954 il Fronte di liberazione nazionale (FLN) algerino comincia a lottare contro l’esercito francese. I pieds noirs – la minoranza di nativi coloniali dall’origine europea – sostengono l’idea di battersi fino all’ultimo per il mantenimento del dominio coloniale. Nel 1958 le loro rivendicazioni aggravano la crisi della Quarta repubblica.

I settori nazionalisti e conservatori chiedono dunque aiuto al generale Charles De Gaulle, che si assume la responsabilità di gestire il governo del Paese. Il suo intervento genera un sistema presidenziale sensibilmente diverso dal precedente modello istituzionale. Tra il 1958 e il 1959 nasce dunque la Quinta repubblica.

Le forze armate francesi non riescono tuttavia a reprimere la rivolta algerina, che attira anche le simpatie e
le attenzioni dei progressisti. Nel 1962, dopo quasi 8 anni di guerra, De Gaulle riconosce finalmente il diritto all’autodeterminazione dell’Algeria.

La travagliata indipendenza del Congo

Patrice Lumumba. Foto di Harry Pot - Nationaal Archief Fotocollectie Anefo - CC-BY-SA 3.0 - storia del colonialismo e decolonizzazione

Patrice Lumumba. Foto di Harry Pot – Nationaal Archief Fotocollectie Anefo – CC-BY-SA 3.0

Anche il Congo riesce a liberarsi dalla dominazione belga grazie a un movimento indipendentista, guidato da Patrice Lumumba. Il nascente governo non riesce tuttavia a sfruttare adeguatamente le sconfinate risorse naturali del Paese. L’esercito e la vecchia classe dirigente coloniale ostacolano i progetti politici di Lumumba, che chiede il sostegno dell’URSS. Mosca appoggia di buon grado parecchi movimenti di liberazione tra l’Africa, il Sud-Est asiatico e le Americhe per acquisire un vantaggio sul sistema capitalistico.

Sul fronte opposto gli Stati Uniti, le vecchie madrepatrie e alcuni Paesi della NATO finanziano i gruppi militari più inclini a soffocare il potenziale sovversivo di chi lotta per l’indipendenza. In Congo il confronto tra questi due schieramenti è fatale a Lumumba. L’appoggio degli statunitensi e dei belgi induce il generale Mobutu Sese Seko a organizzare un colpo di stato, che costa la vita al leader dell’indipendenza e instaura una dittatura militare.

Nel cuore dell’Africa nera inizia una nuova epoca. Il Paese prende il nome di Zaire e consente alle forze del capitalismo occidentale di mettere le mani sulle proprie risorse naturali.

Nasce così un sistema corrotto, nel quale la classe dirigente si arricchisce in maniera consistente e le disuguaglianze sociali diventano sempre più profonde. Tra gli anni Sessanta e Ottanta simili o analoghe si verificano anche in altri Stati africani.

Le difficoltà della decolonizzazione

A complicare lo scenario della decolonizzazione si aggiunge il fatto che i nuovi Paesi africani assumono il modello europeo dello Stato-nazione, ma non hanno le caratteristiche adatte a sostenerlo. Anche i confini ricalcano quelli dei vecchi possedimenti occidentali. Accade dunque di frequente che i confini costringano diversi gruppi etnici a scindersi, condividendo al tempo stesso le istituzioni nazionali con altri popoli, talvolta rivali.

Ne derivano tensioni e lacerazioni, spesso strumentalizzate dall’Occidente per mantenere un controllo indiretto sull’area o dall’URSS per allargare la propria sfera d’influenza.

Le ex colonie, divenute Stati, faticano dunque a non farsi coinvolgere dai meccanismi della guerra fredda. Anche se la Jugoslavia di Tito e l’India si adoperano per far crescere il movimento dei Paesi non allineati, nato nel 1955 con la Conferenza di Bandung, la forza economica e politica dei blocchi contrapposti rende molto difficile lo sviluppo di una “terza via”.

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