Nella memoria del sindacalismo e della Sinistra italiana, il 7 luglio 1960 si collega ai “morti di Reggio Emilia”. Che cosa accade in quel pomeriggio? Perché la situazione di quell’estate è così tesa in tutta l’Italia?

Gli scioperi contro il Governo Tambroni

Il 7 luglio 1960 a Reggio Emilia comincia uno sciopero cittadino, proclamato nella serata precedente dalla CGIL. Da una settimana i lavoratori manifestano in tutta Italia per protestare contro il Governo, guidato dal democristiano Ferdinando Tambroni.

Nella primavera precedente, non avendo una maggioranza parlamentare solida, il Presidente del Consiglio ha avuto bisogno della “non belligeranza” (o del sostegno) del Movimento sociale italiano. I neofascisti, eredi diretti della Repubblica sociale italiana, hanno votato la fiducia al Governo e si sono così ritrovati ad assumere un ruolo decisivo. Confidavano infatti in una decisa e definitiva “svolta a destra” della Democrazia cristiana.

Il 14 maggio l’MSI ha inoltre annunciato che avrebbe tenuto il proprio congresso nella città di Genova, Medaglia d’Oro della Resistenza e simbolo delle insurrezioni antinaziste. Nelle città e nelle province che avevano dato maggiore slancio alla lotta partigiana si sono subito diffusi moti di sdegno e manifestazioni di protesta, culminate nei “fatti di Genova” del 30 giugno.

Le proteste si diffondono

In quei frangenti gli scontri fra i dimostranti e le forze dell’ordine suscitano un’eco che convince i neofascisti ad annullare il congresso, ma le ragioni della protesta non si spengono. I giovani studenti e gli operai nati negli anni della Seconda guerra mondiale non sono condizionati dall’educazione del regime. Quando si accorgono che la continuità dello Stato e i giochi di potere tolgono ai cittadini margini di libertà e opportunità di sviluppo individuale, molti ragazzi riscoprono l’esempio dei partigiani e scendono nelle strade per rivendicare i diritti conquistati con la Resistenza.

7 luglio 1960: i “morti di Reggio Emilia”

Nella settimana successiva la generazione delle “magliette a strisce” continua a riempire le piazze per provocare le dimissioni del governo Tambroni e indurre la classe dirigente italiana a fare definitivamente i conti con il fascismo.

Il prefetto di Reggio Emilia teme che la manifestazione del 7 luglio sia una minaccia per l’ordine pubblico, così decide di vietare gli assembramenti. Gli organizzatori raccomandano ai 20.000 dimostranti di non fermare mai il corteo, passando anche con auto dotate di altoparlanti. La Sala Verdi, assegnata per gli interventi, ha però solo 600 posti.

Circa 300 lavoratori si ritrovano allora vicino al monumento ai Caduti, cantando canzoni di protesta. Alle 16:45 la Polizia e i Carabinieri irrompono in massa contro di loro, utilizzando camionette idranti e gas lacrimogeni.

Il corpo di Lauro Ferioli nel pomeriggio del 7 luglio 1960I manifestanti si rifugiano nell’isolato San Rocco e creano barricate per proteggersi. Di fronte alla loro resistenza, le forze dell’ordine cominciano ad aprire il fuoco.

 

Restano a terra uccisi l’operaio 22enne Lauro Farioli, l’operaio 19enne Ovidio Franchi, il pastore 41enne Marino Serri (partigiano della 76^ SAP), l’operaio 36enne Afro Tondelli (partigiano della 76^ SAP) e l’operaio 39enne Emilio Reverberi (partigiano e commissario politico nel distaccamento “G. Amendola). Sono tutti iscritti al PCI. La tragedia fa crescere ulteriormente le proteste degli antifascisti, inducendo Tambroni a rassegnare le dimissioni.

 

Cosa succede dopo?

Nei mesi successivi la Democrazia cristiana abbandona le trattative con il Movimento sociale italiano e cerca di instaurare un dialogo con i socialisti. Il PSI, guidato da Pietro Nenni, smette di opporsi al Governo, optando per l’astensione. Questo atteggiamento consente l’avvio di una politica più incline a varare riforme di tipo progressista. È il primo passo verso la nascita del “centro-sinistra”, un’esperienza politica che caratterizza l’Italia degli anni Sessanta.

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