Il 12 febbraio 1945, subito dopo il tramonto, un gruppo di nazisti e fascisti impicca otto uomini alla periferia di Vignola, lungo la via per Sassuolo, di fronte al vecchio edificio scolastico di Pratomaggiore. Sono tutti partigiani, ma non portano le armi per difendersi. Provengono infatti dalle carceri di Sant’Eufemia, dove sono stati rinchiusi dopo i rispettivi arresti. L’esecuzione delle condanne a morte avviene subito dopo l’inizio del coprifuoco, quindi in giro non c’è nessuno. L’indomani mattina, tuttavia, i contadini della zona e i passanti si trovano davanti agli occhi quello che sarà ricordato come l’eccidio di Pratomaggiore. I corpi degli otto ostaggi sono ancora appesi alla trave del loro patibolo e devono restarci ancora per un giorno e mezzo.

Perché, in quella sera d’inverno, avvolta dalla neve e dal gelo, prende forma la violenza della guerra totale? Per comprendere meglio l’eccidio di Pratomaggiore – che dal punto di vista giuridico è una strage, essendo le vittime in numero maggiore a 5 – bisogna recuperare informazioni sul contesto storico vignolese di quei giorni. Un paio di anni fa ho ricostruito questa vicenda nel saggio Lottare per scegliere. Antifascismo, Resistenza e ricostruzione a Spilamberto. I prossimi paragrafi, tratti da quel libro, sintetizzano i risultati delle mie ricerche.

eccidio di pratomaggiore

Il monumento che ricorda l’eccidio di Pratomaggiore, nel luogo dell’impiccagione degli 8 partigiani.

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L’arrivo di un reparto nazista e i piani della Resistenza

All’inizio di febbraio del 1945 un reparto composto da 50 soldati turcomanni, alleati dei nazisti, si insedia nelle campagne di Vignola, occupando la scuola di Pratomaggiore, di fronte alla via per Sassuolo. Testimoni del paese sostengono che il comandante garibaldino russo Anatolij Tarassov abbia preso contatti con i militari per indurli a disertare.

Il 9 febbraio 1945 due partigiani della Quinta zona e un combattente della formazione di Corrado Franchini “Taràs” si organizzano per prelevare i cinque soldati che si sono detti disposti ad abbandonare il reparto. Secondo Mario Menabue, dopo aver compiuto la missione, i protagonisti dell’operazione entrano nella casa della famiglia Rinaldi, poiché gli informatori hanno segnalato la presenza di altri due militari sbandati.

Appena varcano la soglia, vedono due ufficiali tedeschi, che cercano di recuperare le armi per affrontarli. Tuttavia i partigiani aprono il fuoco per primi, uccidendone uno e ferendo gravemente l’altro, poi si sganciano attraverso le campagne. Il militare colpito avverte il comando e poche ore dopo i tedeschi giungono a Pratomaggiore per la vendetta.

Le prime ritorsioni naziste

I nazisti puniscono duramente i turcomanni, preparando il loro trasferimento in un’altra sede. Cominciano poi un rastrellamento nelle campagne intorno al borgo: prelevano i capifamiglia e li rinchiudono nei locali della scuola, ma capiscono che tra di loro non ci sono i responsabili dell’attacco nella casa della famiglia Rinaldi.

Dopo qualche ora di detenzione, gli ostaggi sono rilasciati. I nazisti non vogliono dunque punire una popolazione estranea al combattimento del 9 febbraio. Tale scelta si deve alla libertà decisionale del comando, ma è riconducibile anche agli scenari bellici di febbraio: gli ufficiali più ragionevoli cominciano infatti a limitare le violenze contro i civili, dal momento che le sorti del conflitto sono ormai compromesse.

Negli ultimi mesi di guerra, diversi responsabili delle forze armate germaniche preferiscono non macchiarsi di azioni facilmente identificabili come criminose. In vari casi muta anche l’atteggiamento nei confronti dei partigiani, ai quali è riconosciuto più facilmente un ruolo legittimo nella contesa italiana. Non cessano, tuttavia, le rappresaglie e gli atti di ritorsione nei confronti di combattenti ormai inermi.

L’eccidio di Pratomaggiore

Anche a Pratomaggiore, in realtà, la vendetta è solo rinviata. La ritorsione prende forma nel tardo pomeriggio del 12 febbraio, quando un autocarro tedesco scortato dai fascisti conduce dalle carceri di Sant’Eufemia alla scuola del borgo vignolese otto detenuti, tutti accusati di aver partecipato alla Resistenza. Gli ostaggi vengono impiccati sul fare della sera lungo la via per Sassuolo. Le otto corde scendono da una trave, che unisce due grandi olmi a breve distanza dall’edificio scolastico.

Il primo cippo collocato in memoria dell'eccidio di Pratomaggiore

Il primo cippo collocato in memoria dell’eccidio di Pratomaggiore

A uno degli alberi viene affisso un cartello che precisa il motivo di quella condanna a morte: i condannati pagano con la vita il rifiuto della guerra di Hitler e Mussolini. I nazisti e i fascisti utilizzano spesso i patiboli come monito per i cittadini. I cadaveri restano appesi per due giorni, sorvegliati a turno da nuclei armati, per terrorizzare i passanti costretti a vedere quello spettacolo. Dopo due tentativi andati a vuoto, il partigiano spilambertese Gino Roncaglia e il dirigente socialista del CLN vignolese Antonio Zagnoli riescono a fotografare i corpi dalla strada poco prima della rimozione per la sepoltura.

Gli effetti delle stragi naziste e fasciste

L’esibizione della violenza nazista e fascista provoca effetti molteplici e contraddittori sulle comunità della Quinta zona. Non sono pochi coloro che si spaventano, condannando ogni tipo di azione armata contro gli occupanti. Diverse interviste condotte presso le comunità della fascia pedemontana modenese dimostrano che l’immaginario degli inermi è stato pesantemente condizionato dalle strategie comunicative adottate dai responsabili dei crimini. Molti sono convinti che le razzie, i rastrellamenti e le stragi siano conseguenze degli attacchi partigiani, proprio come dicono in pubblico gli esecutori delle ritorsioni.

La paura di subire conseguenze brutali radica dunque l’idea che sia preferibile mantenere l’inerzia, evitando ogni atto che possa suscitare l’ira delle forze militari. Tale convinzione, profondamente umana e del tutto comprensibile nell’incertezza di una guerra totale, non è tuttavia corrispondente alla realtà. I nazisti e i fascisti dicono spesso di uccidere per vendicare attacchi subiti. Le rappresaglie corrispondono, però, a meno di un terzo degli episodi di violenza mortale. Tutti gli altri casi sono dovuti a motivazioni differenti, tra le quali domina la volontà di controllare il territorio e le comunità attraverso il terrore.

Autorevoli studi storici sulla condotta di guerra delle truppe tedesche e delle formazioni appartenenti alla RSI dimostrano che la violenza nei confronti degli inermi fa parte di una strategia militare finalizzata ad annientare i presunti responsabili di una disgregazione. I nazisti e i fascisti colpiscono i civili per fare terra bruciata intorno ai partigiani, ma anche per punire il popolo italiano, che non ha combattuto fino in fondo la guerra di Mussolini.

eccidio di Pratomaggiore

Il sostegno della popolazione alla Resistenza

Col trascorrere dei mesi, i partigiani dell’Italia settentrionale mantengono l’appoggio di quote significative della popolazione. Diversi cittadini comprendono che sostenere la Resistenza significa accorciare la guerra, quindi accettano il rischio di aiutare i “ribelli”. Nazisti e fascisti perdono dunque, progressivamente e definitivamente, il controllo del territorio. Nella seconda metà di aprile la Liberazione sarà la conseguenza di questo cambiamento nei rapporti di forza.

Per saperne di più

Per approfondire la storia raccontata in questo post, ma anche per capire meglio le stragi naziste e fasciste in Italia, consigliamo la lettura di alcuni libri, disponibili per l’acquisto online:

  • Zone di guerra, geografie di sangue. L’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (1943-1945), a cura di Gianluca Fulvetti e Paolo Pezzino
  • I crimini di guerra tedeschi in Italia (1943-1945), di Carlo Gentile
  • Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, di Claudio Pavone
  • Storia della Resistenza, di Mimmo Franzinelli e Marcello Flores
  • Brigate nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, di Dianella Gagliani

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