Ogni anno a Castelfranco Emilia viene ricordata Gabriella Degli Esposti. La commemorazione si tiene a dicembre, in un giorno vicino a quello che nel 1944 vide l’eccidio nazista dei 12 “martiri del Panaro”, tra i quali appunto Gabriella Degli Esposti. Quest’anno però c’è una novità. Alla tradizionale commemorazione, domenica 16 dicembre 2018 si aggiungeràuna camminata con narrazione storica per le vie di Castelfranco che in quella mattinata permetterà agli intervenuti di conoscere sia la vicenda di Gabriella sia altre storie di vita.

Partiremo alle ore 10 dai giardini dedicati a Gildo Guerzoni, in via Riva Superiore e dopo due tappe in centro storico arriveremo al monumento ai martiri del Panaro presso la Coop Le Magnolie (ex ammasso canapa). Le nostre narrazioni saranno accompagnate dalle letture dell’attrice Ilaria Turrini. L’iniziativa è promossa dal Comune di Castelfranco Emilia in collaborazione con la sezione locale dell’Anpi.

La storia di Gabriella Degli Esposti (in breve)

Una vicenda simbolica… sotto tanti punti di vista

Su Gabriella Degli Esposti, antifascista, partigiana e donna, i nazisti si accanirono con particolare violenza. Racconteremo la sua storia, ma anche quella di altre donne, di Castelfranco e non, che lottarono per l’emancipazione femminile, contro lo sfruttamento della prostituzione e per il riconoscimento di pari diritti. E parleremo anche di uomini di Castelfranco, discriminati perché ebrei, perseguitati perché capri espiatori, utilizzati per acquisire consenso politico e imporre un controllo violento sulle società.

Il filo rosso della narrazione sarà l’analisi critica dell’idea che l’uomo bianco, in quanto “maschio” e “naturale” detentore del potere, possa disporre a proprio piacimento di tutte/i coloro che non gli sono conformi per genere e caratteristiche somatiche. Tale convinzione si ancora a tradizioni, pregiudizi e teorie pseudoscientifiche, in base ai quali l’umanità sarebbe suddivisa in “razze”, secondo una piramide che distingue nettamente i sottomessi dai dominatori, e il genere maschile sarebbe intrinsecamente portato al comando, mentre quello femminile alla cura e all’obbedienza.

Analizzare questi problemi da una prospettiva storica permette di comprendere come queste dinamiche si sono verificate in passato, valutando continuità e differenze con gli sviluppi del presente. L’atteggiamento prevaricatore verso i più deboli ci accompagna infatti nel nostro quotidiano. A Castelfranco nei prossimi mesi si parlerà anche di questo. Ci attende infatti una ricca rassegna di eventi culturali, dal titolo Ultime. Razzismo, sesso debole ed altri miti. Dopo l’avvio il 4 dicembre con la proiezione di  City of Joy, il secondo appuntamento è appunto quello con la commemorazione di Gabriella Degli Esposti e dei “martiri del Panaro”.

Ultime. Razzismo, sesso debole ed altri miti

Fascista italiano con una donna nera in Abissinia, 1936.

Il mondo in cui viviamo è indubbiamente complesso. Secondo qualcuno sempre di più. Più allarghiamo i nostri orizzonti, più cerchiamo di comprenderlo, di abbracciarlo tutto, più ci sembra articolato. Complicato. A volte incomprensibile. Si fa una gran fatica e può capitare di sentirsi davvero piccoli, insicuri e intimoriti di fronte alla vastità che ci circonda.

Difficile sfuggire: se anche si sceglie di non viaggiare, di non esplorare, di non voler sapere, di non volersi confrontare, il mondo ci viene a trovare a casa nostra. Persone e merci, mode e malattie, idee e traffici vari. Non basta: tutto si muove velocemente. Attraverso internet e la televisione, quello che succede dall’altra parte del mondo entra addirittura in tempo reale nelle nostre case e nei nostri smartphone. Ma quello che entra è vero? È successo davvero? Una volta era più facile sentire dire “lo ha detto la tv” o “l’ho letto su internet”, come se il mezzo offrisse una garanzia. Oggi siamo forse più diffidenti (non ancora abbastanza?), ma da qualche parte bisognerà pur attaccarsi per capirci qualcosa nella mole sterminata di informazioni, stimoli e novità che ci… “invadono”!

La sfida della libertà

E pensare che sembrava una buona idea tutta questa libera circolazione e connessione di tutti con tutti. Invece pare proprio che ci spaventi. D’altra parte l’incontro con l’altro non è mai stato facile. L’altro, quello diverso da me, quello che non conosco, che non capisco… e si torna al problema iniziale.

Di fronte all’altro che non conosciamo, di fronte a quella parte di mondo che non conosciamo, di fronte alla novità, tutti noi proviamo un iniziale senso di smarrimento e ci troviamo davanti a un bivio. Possiamo scegliere di esplorare, di conoscere, di aprirci al nuovo sempre di più oppure di fermarci ad un esame superficiale, che rifiuta la complessità e si accontenta di schematizzare e classificare la realtà: noi e loro, italiani e stranieri. Da lì, caricando la classificazione di valore, si arriva a “il paese più bello del mondo” (il nostro) e il resto del mondo (che sfidiamo chiunque ad avere visto tutto), buoni e cattivi, bella e brutta gente, persone normali e persone “diverse”… e via dicendo.

Una pubblicazione in epoca fascista che illustra la teoria del complotto relativa ai Protocolli dei Savi di Sion.

Un po’ ci caschiamo tutti, perché semplificare, schematizzare, classificare aiuta ad avere meno timore della complessità. Bisognerebbe però evitare di farne una base per un giudizio affrettato, che ci fa smarrire il senso della realtà facendoci sentire sicuri proprio nel momento in cui, invece, ci mettiamo nella posizione più pericolosa per noi stessi: quella di chi pensa di poter bastare a se stesso e che sia una buona idea avanzare a spese altrui. Discriminare, giudicare, ghettizzare, etichettare e poi scaricare su questi “altri” ogni responsabilità e ciò che di noi non vogliamo accettare comodo, ma, alla lunga, improduttivo. Non risolve il vero problema, ci priva della ricchezza che viene dalla relazione con l’altro e con noi stessi.

Eppure è quello che è sempre successo. Sulla base di una distinzione, di una discriminazione, gli uomini hanno prevaricato le donne, i fascisti e i nazisti gli ebrei, i razzisti coloro che appartenevano a una presunta razza diversa dalla loro. E su questa base sono nati miti come il razzismo, appunto, così come quello che vede un sesso forte e un sesso debole. Se sono convinto che le colpe siano degli altri (che mi rubano il lavoro, il pane, la libertà, la sicurezza, il futuro etc…) posso esimermi dal mettermi in gioco per risolvere in prima persona i problemi che, quasi sempre, contribuisco a creare con le mie scelte di vita. Comodo ma poco intelligente.

Si comincia con il documentario City of joy

La rassegna culturale Ultime. Razzismo, sesso debole ed altri miti si aprirà a pochi giorni dalla Giornata di mobilitazione internazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre. Martedì 4 dicembre alle ore 20:45, presso il Cinema Nuovo di via Don Luigi Roncagli 13, il gruppo Vday di Castelfranco Emilia e l’Amministrazione comunale propongono il documentario City of Joy. Scritto e diretto da Madeleine Gavin, racconta la storia del centro per le donne fondato in Congo dalla drammaturga Eve Ensler.

La Repubblica democratica del Congo è oggi considerato “il peggiore posto al mondo per essere una donna”. Negli ultimi 20 anni, martoriati da una guerra per il potere e il controllo delle risorse naturali, le donne hanno subito violenze indicibili. City of joy racconta la storia di alcune di loro, ospitate in un centro fondato nell’est del Paese da tre attivisti: il dottor Denis Mukwege (premio Nobel per la pace nel 2018), la drammaturga Eve Ensler (conosciuta a livello mondiale per il celebre testo “I monologhi della vagina”) e l’attivista per i diritti umani Christine Schuler-Deschryve.

Il documentario racconta il percorso intrapreso da queste donne (insieme ai fondatori del centro) per ridare un senso alla loro vita, annientata dalla violenza. Nel centro si sforzano infatti di trasformare quella devastazione fisica e mentale in forme di lotta per i propri diritti e per il loro Paese.

Sarà presente la giornalista Annalisa Vandelli, che ritroveremo in altri appuntamenti nel corso della rassegna.

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Gabriella Degli Esposti: antifascista, partigiana, donna

Gabriella Degli EspostiGabriella Degli Esposti nasce il 1° agosto 1912 a Calcara di Crespellano (BO), in una famiglia molto povera. La sua vita conosce una svolta a poco più di vent’anni, quando sposa Bruno Reverberi e si trasferisce nelle campagne di Castelfranco Emilia. Lì comincia a gestire insieme al marito un piccolo caseificio. Le difficoltà non mancano: alla metà degli anni Trenta l’economia italiana imbocca una parabola discendente che il regime non riuscirà più a invertire. Basterebbe quello scenario di crisi a complicare la gestione di un’azienda familiare… ma per Gabriella e Bruno la situazione è ancora più dura. Il motivo? L’antifascismo.

Bruno non ha mai nascosto la sua ostilità per il Duce e per la dittatura. Col passare del tempo anche Gabriella matura un sentimento antifascista tanto pre-politico quanto profondo. Come tante donne della sua generazione, non ha idea di cosa sia la democrazia e non sa nulla di politica. Eppure, quello che vede nel suo mondo non la convince e non le piace. Quando cominciano le guerre del regime, per i contadini ogni sfida del quotidiano diventa ancora più difficile. Anche crescere Savina e Liduina, le due bambine che ha messo al mondo insieme a Bruno.

Poi, quasi all’improvviso, arriva una seconda svolta. È lo sconquasso dell’8 settembre 1943, quando le campagne di Castelfranco si riempiono di soldati in fuga. Bruno e Gabriella li accolgono, donano loro abiti borghesi e li salvano dalla prigionia. Da quell’aiuto alla lotta contro i nazisti e i fascisti il passo non è sempre automatico, ma questi due coniugi lo fanno di slancio. Gabriella entra nella Brigata “Walter Tabacchi” già il 19 settembre, scegliendo “Balella” come nome di battaglia. Nei mesi successivi agisce come staffetta, tenendo i collegamenti tra i partigiani di Castelfranco e le organizzazioni della provincia modenese. Insieme a Bruno mette la propria casa a disposizione della Resistenza, ma alla fine del 1944 su quelle campagne si concentrano le attenzioni dei fascisti e dei nazisti.

Il rastrellamento di Castelfranco e la strage di Cà Nova

Nel mattino del 14 dicembre 1944 i nazisti cominciano un rastrellamento nelle frazioni di Castelfranco con l’obiettivo di snidare i partigiani della IV zona modenese. Alcuni militari si presentano a cercare Bruno, ma trovano Gabriella, incinta di sei mesi; lei finge di essere una sfollata e li manda a cercare il casaro a Riolo. Poi affida le bambine ai vicini. Poche ore dopo, i nazisti piombano ad arrestarla.

Gabriella viene condotta all’ammasso canapa, dove si trovano anche gli altri ostaggi, catturati nel corso della giornata. Nei due giorni successivi viene torturata e seviziata. Poi, all’alba del 17 dicembre 1944, i nazisti la caricano su un mezzo diretto a Ca’ Nova, sul greto del Fiume Panaro. È già in fin di vita e la uccidono con un colpo alla nuca insieme ad altri 9 ostaggi dell’ammasso canapa. Poi scavano una fossa sulla riva del Panaro e li seppelliscono insieme. Coprono tutto con poca terra, forse per fretta o per noncuranza. Il 26 gennaio 1945 qualcuno segnala la presenza di resti umani nei pressi del fiume: alcuni cittadini di San Cesario procedono alla riesumazione dei cadaveri. Per le celebrazioni, la medaglia d’oro al valor militare e i racconti della memoria ci sarà tempo soltanto dopo la Liberazione…

Tra gli ostaggi catturati il 14 dicembre 1944 si contano anche altre due vittime. Riccardo Zagni viene ucciso all’interno dell’ammasso canapa, mentre Mario Tosi è costretto a seguire le SS nel bolognese per prelevare denaro da un libretto di banca che aveva con sé al momento dell’arresto; compiuta la missione, i militi nazisti lo uccidono lungo la Porrettana. Nel complesso, la strage provoca pertanto 12 morti.

Gabriella Degli Esposti. Questa scultura sormonta il monumento ai

Questa scultura sormonta il monumento ai “martiri del Panaro”, realizzato nel luogo dove sorgeva l’ammasso canapa di Castelfranco Emilia

 

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