I Mondiali di calcio sono uno stimolo a indagare la storia delle società dalla prospettiva dello sport più popolare in Occidente. Le competizioni agonistiche sono immerse nelle vite degli individui e delle comunità, che le interpretano a proprio modo, attribuendo al gioco significati capaci di trascendere le logiche del campo. La vicenda che sto per raccontarvi, quella di Eusébio da Silva Ferreira, incarna il legame tra il pallone e gli scenari geo-politici del mondo. Non a caso la storia del calcio portoghese deve tantissimo a questo campione mozambicano, soprannominato “la Pantera nera”.

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Storia del calcio portoghese. Francobollo degli Emirati arabi uniti dedicato a Eusébio

Francobollo degli Emirati arabi uniti dedicato a Eusébio

I primi passi di Eusébio da Silva Ferreira

Eusébio da Silva Ferreira nacque a Lourenço Marques – l’odierna Maputo – il 25 gennaio 1942. Suo padre, Laurindo António, era un angolano bianco, che lavorava nelle ferrovie coloniali. Nel Mozambico aveva conosciuto Elisa Anissabeni e l’aveva sposata, senza preoccuparsi della sua pelle dal colore dell’ebano. Quando il loro quarto figlio, Eusébio, aveva sette anni, Laurindo si ammalò di tetano; morì poco meno di un anno dopo. Il bambino conobbe ben presto gli stenti dei quartieri più poveri di Lourenço Marques. Nonostante i morsi della fame, però, adorava inseguire palloni fatti di calzini vecchi, giornali e stracci.

L’infanzia nel Mozambico portoghese

Eusébio non aveva un ottimo rapporto con la scuola, come se sapesse già che sarebbero state quelle interminabili partite sui sassi e sulla polvere ad aprirgli le porte di un futuro migliore. I suoi piedi scalzi controllavano molto bene quella sfera di pezze che rotolava per le strade di Lourenço Marques. Sembrava proprio nato per il calcio, che in portoghese si chiama futebol, mostrando le proprie origini anglo-sassoni. Alla fine dell’Ottocento, infatti, erano stati gli emissari dell’Impero britannico a portare il gioco sulle coste di tutto il mondo, insieme alle merci della regina Vittoria…

Una delle prime rappresentazioni artistiche al mondo dedicate al gioco del calcio, il dipinto Sunderland v. Aston Villa di Thomas M. M. Hemy (anche noto come A Corner Kick), 1895.

Una delle prime rappresentazioni artistiche al mondo dedicate al gioco del calcio, il dipinto Sunderland v. Aston Villa di Thomas M. M. Hemy (anche noto come A Corner Kick), 1895. Via Wikimedia Commons

Quando alcuni ragazzi del quartiere lo chiamarono a far parte della loro squadra amatoriale, i Brasileiros, Eusébio fece una gran bella figura. Dopo qualche mese, bussò alla porta del Grupo Desportivo de Lourenço Marques, una società che lavorava in sinergia con le “Aquile” del Benfica, la più importante squadra portoghese. I tecnici lo videro entrare e sorrisero: un nero africano nella filiale della squadra-simbolo della dittatura di Antonio Salazar? Impossibile, sarebbe un evento fuori dalla storia del calcio portoghese! Lo respinsero, ma quel rifiuto non lo convinse ad arrendersi. Si presentò al “centro tecnico” dello Sporting Lourenço Marques, patrocinato dai rivali del Benfica, lo Sporting Lisbona. I dirigenti del club gli diedero un pallone e gli chiesero di mostrargli cosa sapesse fare. C’è da supporre che il selezionatore, rapito da ciò che stava vedendo, abbia gridato a un suo collaboratore di chiudere i cancelli.

Dal Mozambico al Portogallo

Con la maglia dello Sporting, Eusébio vinse il Titolo Distrettuale di Lourenço Marques e il Campionato Provinciale del Mozambico. All’epoca, Salazar considerava quel lembo di terra africana come un’appendice esterna del suo Portogallo. Ogni sua manifestazione doveva essere ricondotta alle strutture governative e amministrative della madrepatria. Per lo stesso principio, i talenti sportivi di quella lontana provincia dovevano imbarcarsi su un piroscafo e virare verso Lisbona. Erano stati questi imperativi dittatoriali – uniti al dissenso della madre – a impedire al quindicenne Eusébio di trasferirsi alla Juventus. La perla nera del Mozambico calcistico era destinata al Portogallo.

Guttmann (in alto a sinistra) con alcuni giocatori del Benfica nel 1962. Al suo fianco c'è proprio Eusébio. Via Wikimedia Commons

Guttmann (in alto a sinistra) con alcuni giocatori del Benfica nel 1962. Al suo fianco c’è proprio Eusébio. Via Wikimedia Commons

Anche l’ex-giocatore brasiliano José Carlos Bauer lo vide all’opera e rimase impressionato dal suo talento. Si ricordò che Béla Guttman, il tecnico ungherese che lo aveva allenato ai tempi del Saõ Paulo, si era trasferito al Benfica. Lo chiamò e gli disse che in Mozambico esisteva un calciatore di talento che correva i 100 metri in 11 secondi. C’era solo un piccolo particolare, al quale non si poteva non prestare attenzione: era nero. E in un Paese come il Portogallo non sembrava un dettaglio di poco conto…

Guttman, un ungherese di origine ebraica con un passato da transfuga e un notevole carisma, convinse i dirigenti che quel ragazzo africano avrebbe potuto cambiare la storia calcistica del Benfica e del Portogallo. Il regime clerico-fascista di Salazar non trovò argomenti per opporsi ed Eusébio sbarcò a Lisbona.

Nonostante l’ombrello della dittatura, il Benfica non aveva perso il proprio carattere popolare: sulle tribune si accalcavano soprattutto operai e diseredati, che continuavano a contrapporsi agli aristocratici dello Sporting.

Gli anni del Benfica

L’arrivo di Eusébio segnò un nuovo capitolo della rivalità tra i due principali club di Lisbona. I bianco-verdi dello Sporting avevano infatti un diritto di prelazione sul ragazzo, poiché a Lourenço Marques giocava nel loro club satellite. Per risolvere il contenzioso, il Benfica offrì alla madre della futura Pantera nera un contratto da professionista. La signora decise che il suo figliolo avrebbe indossato la casacca rossa delle “Aquile”. Per evitare che lo Sporting rapisse il giovane talento mozambicano, i responsabili del Benfica lo portarono in una località segreta e lo chiamarono Ruth Molosso. Lì gli fecero firmare l’accordo, assicurandosi le sue prestazioni. Non se ne sarebbero pentiti, poiché quel ragazzo africano avrebbe scritto la storia del calcio portoghese.

Storia del calcio portoghese. Eusébio firma autografi al termine di un match pareggiato 0-0 contro gli olandesi del Feyenoord

Eusébio firma un pallone al termine di un match pareggiato 0-0 contro gli olandesi del Feyenoord

Nel decennio successivo, Eusébio incantò l’Europa calcistica. Vinse 11 titoli portoghesi, 5 coppe nazionali e una Coppa dei Campioni, arrivando per altre tre volte in finale. Fu Pallone d’Oro e segnò 638 reti in 614 partite ufficiali con la maglia del Benfica, fino a quando chiuse la carriera nelle Americhe. Questi numeri sintetizzano la forza del calciatore, ma non dicono nulla sull’impatto che l’uomo Eusébio ebbe sul Portogallo. Quando il Benfica vinse la Coppa dei Campioni del 1962, sconfiggendo in finale il Barcellona del transfuga ungherese Ladislao Kubala, finì il dominio del Real Madrid, la squadra-simbolo della dittatura franchista. All’apparenza fu una staffetta tra i fascismi iberici. In realtà, però, l’emblema delle “Aquile” era un suddito del Mozambico, che con la maglia della nazionale faceva entusiasmare tutti i portoghesi. Le reti di Eusébio mostrarono al Paese e al mondo che un nero poteva diventare un idolo dello sport.

Un atleta che ha cambiato la storia del calcio portoghese

Anche se la Pantera nera non aveva gli strumenti culturali per accorgersene, le sue giocate furono metafora e anticipazione del cambiamento che avrebbe portato alla Rivoluzione dei Garofani. Sul campo Eusébio aveva sì fatto divertire il popolo, distraendolo dagli stenti del quotidiano, ma aveva anche insegnato agli ultimi che immaginare un futuro diverso era possibile.

Niente sintetizza questo approccio meglio del match contro la Corea del Nord ai Mondiali inglesi del 1966. Il Portogallo era sotto di tre gol e dall’altra parte del campo c’era una squadra lanciatissima, che aveva appena eliminato l’Italia. Ricordando le difficoltà degli esordi, Eusébio rifiutò la resa e segnò quattro reti, ribaltando la partita. Non vinse mai un titolo europeo o mondiale, ma cambiò la storia del calcio portoghese, aprendolo agli sviluppi degli anni Sessanta. Di lì a qualche anno anche il Paese cercò di guardare avanti, smettendo di chiudersi di fronte al resto del mondo.

Storia del calcio portoghese. Eusébio si congratula con Johan Cruijff dopo un match tra Benfica e Ajax del 1969

Eusébio si congratula con Johan Cruijff dopo un match tra Benfica e Ajax del 1969

Curiosamente i giovani lusitani si sollevarono proprio mentre il campione-simbolo del loro calcio attraversava l’Oceano per godersi una pensione dorata negli Stati Uniti.
Il ritiro dall’attività agonistica non ha tolto Eusébio dal centro della scena sportiva portoghese. Divenuto un mito e un simbolo, il campione continuò ad accompagnare la nazionale e il Benfica. Fino al 5 gennaio 2014, quando la sua morte fermò il Paese. Ai funerali una grande folla omaggiò un atleta che aveva incarnato le contraddizioni e i talenti dei lusitani. Un africano divenuto idolo dei suoi colonizzatori in un periodo di dittatura clerico-fascista. Un giocatore completo e iconico. Un uomo che è stato a suo modo protagonista del secolo-mondo.

Murales dedicato a Eusébio nella metropolitana di Lisbona, realizzato presso la stazione dell'aeroporto. Foto di IngolfBLN [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], attraverso Wikimedia Commons

Murales dedicato a Eusébio nella metropolitana di Lisbona, realizzato presso la stazione dell’aeroporto. Foto di IngolfBLN [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], attraverso Wikimedia Commons

Per saperne di più

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