Ci sono luoghi che la storia prende in ostaggio. Lì il presente non cancella le tracce del tempo. Il passato s’intreccia all’ambiente nei segni che le donne, gli uomini e la natura lasciano in eredità al futuro. Un esempio? La Centrale idroelettrica di Farneta. Un sito di archeologia industriale, un nodo di opportunità e scontri per il lavoro, un elemento di trasformazione per un intero territorio. Un impianto normalmente chiuso al pubblico, che aprirà eccezionalmente le porte mercoledì 23 agosto ai partecipanti di History Camp 2.0.

La Centrale idroelettrica di Farneta.

La Centrale idroelettrica di Farneta.

Nasce la Centrale idroelettrica di Farneta

Corre la seconda metà del 1924. Il governo Mussolini vive un periodo di burrasca. Il delitto Matteotti proietta ombre nere sul Partito Nazionale Fascista e gli oppositori cercano di cavalcare lo sdegno di tanti cittadini. Gli squadristi invitano il Duce a gettare la maschera e a portare la loro rivoluzione alle estreme conseguenze. Non sono pochi, però, i conservatori e i fiancheggiatori che non apprezzano la violenza dei “duri e puri”. I manganelli facevano comodo nel “Biennio Rosso”, quando la forza e il consenso dei socialisti mettevano paura. Dopo le elezioni del 6 aprile nessuna minoranza può impensierire fascisti, nazionalisti e moderati. Perché procedere con le efferatezze?

Mentre l’opposizione si trincera sull’Aventino e i comunisti danno battaglia in aula, la valle del Dolo si trasforma in un enorme cantiere. Il Consorzio Emiliano di Bonifica Parmigiana-Moglia avvia i lavori per costruire la Centrale idroelettrica di Farneta. Il progetto fa impressione: le acque dei torrenti Dolo e Dragone concorrono ad alimentare quattro gruppi elettrogeni orizzontali. La condotta forzata collega il fondovalle alla diga di Fontanaluccia, generando con il salto l’energia necessaria per azionare l’impianto.

 

La foto dall'alto mostra l'alveo del Dolo a valle della Centrale idroelettrica di Farneta.

La foto dall’alto mostra l’alveo del Dolo a valle della Centrale idroelettrica di Farneta.

Lavoro e sfruttamento

Per le genti della montagna modenese la Centrale idroelettrica di Farneta è una benedizione. Per qualche anno cinquecento operai possono lavorare vicino a casa. Visto che il fascismo non vede di buon occhio l’emigrazione, quel mastodonte che sta per nascere nella valle sembra proprio una benedizione. Basta entrare in cantiere, tuttavia, per vedere il lato oscuro dell’affare: la forza-lavoro è tanta, quindi perché mai stipulare contratti stabili di assunzione? Chi dirige l’opera non mette niente per iscritto e tiene bassi i salari. Tanto i montanari obbediscono, mica si ribellano…

Già, obbediscono. Almeno fino al gennaio del 1925. Mussolini si è da poco assunto la “responsabilità morale e storica” del delitto Matteotti quando i 500 operai della centrale incrociano le braccia. Il fascismo sta ponendo le basi dello Stato totalitario e un gruppo di montanari sfida la sua legge? Impossibile, inaccettabile. Le autorità mobilitano i carabinieri, il segretario provinciale delle corporazioni e il vicecommissario di polizia. Bisogna far rientrare la questione. Piccole promesse, minimi miglioramenti, poi solo lavoro e silenzio.

Piccolo corso d'acqua nei pressi della Centrale idroelettrica di Farneta.

Piccolo corso d’acqua nei pressi della Centrale idroelettrica di Farneta.

Le bonifiche e il paesaggio

La stampa trasmette sempre più spesso messaggi sugli effetti benefici delle opere pubbliche. Il Duce vuole la “bonifica integrale”: il regime immagina comunità fasciste al lavoro nelle zone strappate alle paludi. Si mira alla luna, ma oltre la metà dei progetti rimane sulla carta. Quello che cambia, e per sempre, sono gli equilibri dei territori. Le valli del Dolo e del Dragone escono stravolte dall’idea di ricavare energia per le bonifiche della Pianura Padana. La montagna diventa un grande “generatore”: alla Centrale idroelettrica di Farneta si affiancano gli impianti di Ligonchio e Muschioso.

Cambia il paesaggio e mutano gli equilibri sociali. Gli spazi della trasformazione diventano nodi di lotta e stimoli di speranza. Perché tra Gusciola e Farneta scorrono storie capaci di raccontare le anime della Resistenza nell’alta valle del Secchia? Che cosa succede quando una montagna di borghi, torrenti e mulattiere diventa una zona libera partigiana? Come ha fatto la Centrale idroelettrica di Farneta a salvarsi dai bombardamenti alleati? Quando nasce la democrazia italiana, che fine fanno questi luoghi?

Centrale idroelettrica di Farneta. Il Castello di Farneta, dove nell'autunno del 1944 s'insediano il comando partigiano, il CLN della montagna e le "istituzioni" della zona libera di Montefiorino.

Il Castello di Farneta, dove nell’autunno del 1944 s’insediano il comando partigiano, il CLN della montagna e le “istituzioni” della zona libera di Montefiorino.

Dalla Centrale idroelettrica di Farneta… al trekking storico!

Un post non è uno spazio adatto a contenere tutte queste storie. Per ricostruirle e raccontarle, bisogna allacciarsi le scarpe e mettersi in cammino fra le valli e i pendii che le hanno generate. Dal momento che la Centrale idroelettrica di Farneta è chiusa al pubblico, non capita tutti i giorni di visitarla ascoltando una narrazione storica delle sue vicende. E non capita tutti i giorni di collegare con un trekking dolce il castello di Farneta al borgo di Gusciola.

C’è solo un modo per cogliere questa doppia occasione: partecipare a History Camp 2.0. Come ricorda l’evento su Facebook, le iscrizioni scadono mercoledì 2 agosto. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito di Arci Modena.

History Camp 2.0 Centrale idroelettrica di Farneta

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